Li riconosci perché hanno lo sguardo fisso sul soffitto, il naso in su, gli occhi dilatati di fronte a stucchi e merletti, arazzi e intarsi. Si aggiravano una settimana fa per i corridoi di Montecitorio ancora vestiti casual, pantaloni, camicia e giacca d’ordinanza, scortati dai “veterani”. Sul volto lo stupore di una comitiva di studenti al primo giorno ad Hogwarts. Sono i nuovi commessi, pardon “assistenti parlamentari” (si dice così). Ragazzi e ragazze sui trenta, freschi di concorso — ne sono entrati più di ottanta — pronti a prendersi sulle spalle un mestiere antichissimo, a diventare le sentinelle della Camera dei Deputati, i custodi del palazzo. O forse no.
L’ALLARME
Da giorni un brivido percorre chi amministra le onorevoli stanze di Montecitorio, gli uffici del presidente Lorenzo Fontana. Già perché di ottantotto funzionari entrati in forze in Parlamento a inizio ottobre, destinati a prendere possesso di gabbie e gabbiotti, a presidiare l’aula e il Transatlantico, quasi tutti già studiano una via d’uscita. Ottanta su ottantotto: è il numero di neo-commessi che si è iscritto al concorso interno per diventare segretario parlamentare. Ergo per cambiare mestiere. Il 93 per cento. Neanche il tempo di ambientarsi, di perdersi in un tour tra commissioni, divanetti e buvette, ed ecco la grande fuga prendere forma. Pagano “poco” le new entries, o molto meno dei tempi d’oro della “casta” picconata dai grillini. O forse si fatica troppo, meglio una comoda scrivania che trottare da mattina a sera da una commissione all’altra, vuoi mettere?
E poi i tempi cambiano, le ambizioni pure. Perché ragazzi con una, due, perfino tre lauree (una delle candidate, che ha tentato subito il passaggio interno, viene niente meno che dalla Sorbonne di Parigi) dovrebbero fermarsi lì, accontentarsi di questo antico e onesto mestiere? Sono i dubbi che rimbalzano fra i tanti giovani accostati alla nuova avventura in Parlamento. E sono giunti alle orecchie dei “veterani” della professione, gli “assistenti parlamentari superiori”, o “capi-commessi” che dir si voglia, che fra i corridoi di Montecitorio hanno scritto pagine della nostra storia repubblicana e hanno preso atto con stupore e un po’ di tristezza del tentato fuggi-fuggi.
Pensare che di ragioni per restare, loro, ne avrebbero a decine da raccontare. Il petto gonfio di orgoglio. Togli i commessi e il palazzo viene giù. Quante volte l’aula si è trasformata in un ring di boxe, pugni, calci e insulti? E che sarebbe successo senza di loro, gli assistenti in completo blu, vestiti di tutto punto, il tricolore cucito sulle spalle? Apri il rullino della Prima e Seconda repubblica e li trovi lì, sempre in primo piano. A strappare manifesti, striscioni, t-shirt più o meno oscene. Ma anche a sedare risse, schivando ganci e montanti tra i deputati, rischiando l’infermeria. O a sollevare di peso i riottosi. Servizio a cui Marco Pannella era abbonato come del resto ogni radicale che si rispetti. Non meno però, per venire ai giorni nostri, di Vittorio Sgarbi, trascinato a forza in piena pandemia fuori dall’emiciclo tra fischi urla e risate a iosa dei colleghi. Sono testimoni della storia, i commessi, con la S maiuscola. Prendi Marcantonio Ferretti, lo storico capo degli assistenti parlamentari di Montecitorio scomparso (e pianto moltissimo) durante il Covid, quarant’anni a palazzo, un sorriso per tutti. Ricordava con commozione, nel giorno della pensione, il set di oggetti sequestrati ai deputati scalmanati che negli anni aveva arricchito una personalissima collezione a casa. Il cappio sventolato dal leghista Luca Leoni Orsenigo, nei primi giorni di Tangentopoli. Le manette del lumbàrd Gianluca Bonanno, il megafono del missino Teodoro Buontempo.
IL DERBY CON IL SENATO
Ma ridurre i commessi a bodyguard del palazzo è ingeneroso. Vigilano severi (talvolta con eccesso di zelo) sul decoro e la storia dell’istituzione e di chi si addentra in quei corridoi, presidiano ingressi e garage, sanno chi entra e chi esce. Hanno un occhio di riguardo, ma pure due, per quei cronisti impenitenti che cercano sempre di sgusciare via, sbucano con il registratore davanti al ministro di turno, alla premier. Conoscono i segreti del palazzo, i commessi, si danno del tu con il potere.
Ora quel mestiere rischia di sparire, o di trasformarsi in un trampolino per carriere più comode e “sedute” a Montecitorio. Ci hanno messo del loro le sforbiciate degli ex presidenti, da Grasso a Boldrini, agli stipendi un tempo sì stellari degli assistenti. E la concorrenza del Senato, dove pagano ancora di più, altro che bicameralismo perfetto. Insomma un po’ vanno capiti questi ragazzi neo-laureati e dall’ambizione che tocca il soffitto. Ma l’emergenza resta, ché senza assistenti a vigilare il Parlamento è una terra di nessuno. Insieme a una maledetta nostalgia per un’altra fotografia della storia politica italiana che rischia di finire sbiadita. C’era una volta il commesso parlamentare.
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