C’è anche un giallo giornalistico nel botta e risposta tra Washington e Pechino sull’ipotesi che le due superpotenze abbiano già intavolato negoziati sui dazi. Donald Trump ha detto di averne parlato al telefono con il leader cinese Xi Jinping. Il presidente Usa ha spiegato di essere stato contattato dal suo omologo. La diplomazia pechinese ha smentito l’avvio di consultazioni. Posizione chiara. Tuttavia il settimanale Caijing ha pubblicato un’indiscrezione, poi rimossa dal suo sito, rivelando l’ipotesi che la Cina possa alleggerire i dazi al 125% sulle importazioni dagli Usa, decisi in risposta alle tariffe al 145% imposte sulle merci in arrivo dalla Repubblica popolare. In particolare l’articolo faceva riferimento ad alcune tipologie di semiconduttori, escluse dalle tariffe, e parlava di rimborsi per le aziende che già avevano pagato la sovra-tassa. Anche la Camera di commercio americana in Cina ha parlato di esenzioni per importazioni nel farmaceutico.
Notizia poi sparita anche perché non in linea con la linea intransigente seguita finora. Il ministero degli Esteri cinese ha sempre sostenuto di attendere una prima mossa da Trump, contestando all’amministrazione Usa atteggiamenti «da bullo». Gli Stati Uniti «devono smettere di ingannare il pubblico», ha spiegato il portavoce del ministero, Guo Jiakun, rispondendo ai giornalisti che chiedevano un commento su presunti negoziati in corso, cui lo stesso Trump ha fatto accenno.
I COLLOQUI
Nel frattempo colloqui sono in corso tra Usa e Ue. Valdis Dombrovksis, commissario all’Economia, ha visto il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent . In incontro definito cordiale e franco», ha sottolineato che Bruxelles è pronta a una soluzione «reciprocamente accettabile». E di spirito costruttivo tra Paesi ha parlato anche la direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva. Il tempo però stringe. Per ammissione del presidente un’ulteriore proroga della moratoria di 90 giorni, concessa a tutti i Paesi tranne che alla Cina, è improbabile. Intervistato dal Time, il presidente Usa ha rivelato di aver ricevuto una chiamata da Xi. Incalzato si è limitato a ribadire che a telefonare è stato il leader cinese. «Non penso sia un segno di debolezza da parte sua», ha poi aggiunto. In partenza per Roma, per partecipare ai funerali di papa Francesco, il miliardario ha nuovamente confermato di aver avuto un colloquio con Xi e dall’aereo ha spiegato che aprire il mercato cinese ai prodotti made in Usa, «sarebbe fantastico». Parole pronunciate ore dopo la riunione a Pechino del Politburo del Partito comunista cinese per fare il punto sulla situazione economica. Nel corso del meeting del l’organismo collegiale più ampio e di maggior peso del Pcc, il presidente Xi ha spiegato che Pechino deve «preparare piani di emergenza» per rilanciare l’economia, sollecitando il governo ad aumentare il sostegno alle imprese e ad accelerare gli sforzi per rilanciare i consumi. «Dobbiamo aumentare il livello di consapevolezza politica, continuare ad adottare un approccio sistemico, rafforzare la riflessione sulle linee rosse e sugli scenari estremi, ponendo l’accento sulla prevenzione e sulla risoluzione dei rischi commerciali», ha spiegato il ministero del Commercio. I piani d’emergenza sarebbero in realtà sul tavolo da tempo. Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, il principale quotidiano in lingua inglese di Hong Kong, già mesi prima delle presidenziali dello scorso novembre, funzionari di diversi dipartimenti governativi e delle principali aziende a controllo statale avevano iniziato a studiare le potenziali ripercussioni della seconda amministrazione Trump.
Il RIPOSIZIONAMENTO
Chi si sta muovendo per scongiurare ricadute negative dallo scontro commerciale tra le prime due economie al mondo è Apple. Fonti vicine al dossier citate dal Financial Times hanno riferito dei piani del gruppo di Cupertino per spostare in India l’assemblaggio degli iPhone.
Entro la fine del 2026 Apple conta quindi di raddoppiare la produzione nel Subcontinente, con l’intento di rifornirsi della totalità degli oltre 60 milioni di smartphone venduti negli Usa, così da scavalcare il protezionismo trumpiano nei confronti della Cina, dove oggi è prodotta tramite terze parti come Foxconn una grossa parte degli i-Phone.
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