17.05.2025
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Economy

«Greenwashing? Sulla decarbonizzazione stiamo accelerando»


Utile operativo oltre quota 4 miliardi, produzione ed esplorazione dei combustibili in crescita del 6%, con un flusso di cassa pari a 3,9 miliardi. Sono i risultati oltre le attese degli analisti di Eni nel secondo trimestre dell’anno, a consolidare i numeri complessivi del primo semestre. Il gruppo guidato dall’ad Claudio Descalzi può così rivedere al rialzo alcuni target del 2024 e accelerare sul piano di riacquisto delle azioni rispetto alla scadenza di aprile 2025. Vale 1,6 miliardi e la remunerazione ora può salire del 35%.

«Sono risultati molto positivi — commenta a Il Messaggero Descalzi — come quelli del 2023, quando però il prezzo del gas era molto più alto». L’ad spiega quindi che «si conferma l’obiettivo della quotazione in borsa di Plenitude (probabilmente nel 2025 n.d.r) ed Enilive (nei prossimi anni n.d.r), che hanno una valorizzazione complessiva di 22 miliardi sui 48 totali di valore del gruppo Eni». E infine risponde alle critiche rivolte alla società sul Piano Mattei («Non è un modello predatorio, ma aiuta l’Africa», dice) e sul greenwashing, cioè l’ambientalismo di facciata («Stiamo accelerando sulla decarbonizzazione e i risultati si vedono» argomenta).

I risultati del primo semestre 2024

Sulla scia del business dell’esplorazione e produzione, che ha contribuito con un 26% dell’utile operativo pro forma adjusted, oltre i 3,5 miliardi, Eni chiude quindi il primo semestre del 2024 con risultati positivi. Tra gli obiettivi rivisti per l’anno l’ebit proforma adjusted, a 15 miliardi, mentre si vuole imprimere un’accelerazione del piano di buyback rispetto alla scadenza di aprile 2025

L’utile operativo pro forma adjusted di 4,1 miliardi è però in rallentamento del 3% rispetto all’anno prima a causa della normalizzazione del risultato di Ggp (la divisione gas) e della riduzione dei margini di Versalis (chimica), condizionate dalle complesse condizioni di mercato. 

Complessivamente nel semestre l’utile netto adjusted è stato pari a 8,2 miliardi, in calo del 19% rispetto al primo semestre 2023. L’utile ante imposte adjusted, rettificato dagli effetti dalle operazioni straordinarie, si attesta a 3,4 miliardi, in calo del 7% rispetto al secondo trimestre del 2023.

L’utile netto adjusted di competenza degli azionisti è poi di 1,5 miliardi, in discesa del 21% rispetto al secondo trimestre e sconta l’incremento del tax rate di gruppo che è stato pari al 55% (rispetto al 47% del trimestre di confronto) per via del maggior carico fiscale sul risultato ante imposte consolidato dei paesi esteri.

E ancora: nel semestre il gruppo ha generato un flusso di cassa da attività operativa adjusted di 7,8 miliardi, coprendo i fabbisogni per investimenti di 4,1 miliardi. Il flusso di cassa organico di 3,7 miliardi ha consentito di coprire la remunerazione degli azionisti di 2 miliardi e, insieme ai proventi da cessioni relativi principalmente a Plenitude e Saipem per circa 1 miliardo, hanno ridotto l’indebitamento a 12,1 miliardi

La strategia

«Abbiamo avuto risultati importanti su gas e petrolio che non ci aspettavamo fino a qualche tempo fa — commenta Descalzi — Ci siamo focalizzati sulla parte industriale nell’aumentare le produzioni, lavorando in maniera veloce e guardando sempre alla crescita. Abbiamo lavorato bene in Italia e all’estero».

«Le due iniziative che più ci danno soddisfazione — continua — sono quelle delle società ‘satellite’ Plenitude e Enilive, che stanno dando risultati 5 o 6 volte superiori di quando erano dispersi nelle pieghe di una Eni molto grossa: vendono rinnovabili, bio-fuel o bio-carburanti e sono quindi molto attive nella transizione energetica».

Quanto alla strategia di diversificazione del gas, Descalzi spiega che «in questi anni il gruppo ha messo sul piatto 8 miliardi, capitale a rischio per aumentare produzioni ed esplorazioni in vari Paesi». E, nonostante l’addio al gas russo previsto per fine anno, la strada che porta alla piena sicurezza energetica per l’Italia «non è ancora finita».

La risposta alle critiche

Associazioni ambientaliste e molti esponenti dell’opposizione al governo, dal Pd e il M5s ad Alleanza Sinistra/Verdi descrivono il «Piano Mattei per l’Africa» dell’esecutivo come una «scatola vuota senza grandi risorse» e semmai «un tentativo di colonialismo per sfruttare le loro risorse, mentre si tagliano i fondi allo sviluppo». Al Piano Eni partecipa convintamente. «Non c’è da parte nostra uno sfruttamento economico — si difende Descalzi — anzi: direi che il Piano si concentra su attività non di profitto, che hanno positività su altri versanti, dall’agricoltura e l’educazione all’accesso all’acqua: l’aspetto di valore per noi è che si può provare a dare futuro a queste terre e quindi stabilità all’Italia su vari fronti».

Negli ultimi mesi gli ambientalisti hanno poi intensificato le accuse di greenwashing contro il gruppo, parlando di business ancora improntato sulla crescita delle fonti fossili, che rallenta il cosiddetto phasing out, cioè l’addio a questi tipi di energia, fondamentale per combattere l’emergenza in corso dei cambiamenti climatici. A Sanremo Legambiente ha promosso una campagna contro gli spot pubblicitari della società, mentre più recentemente Greenpeace ha sottolineato come su 767 progetti di estrazione di fonti fossili di Eni nel mondo 552 sono partiti dopo l’Accordo sul clima di parigi e 96 hanno perfino acquisito la licenza dopo.

«Eni sta facendo molto per la transizione energetica — risponde Descalzi — lo stesso Accordo sul Clima di Parigi non diceva di interrompere le fonti fossili, ma di decarbonizzarle sempre di più e lo stiamo facendo: crecono i nostri progetti cosidetti «Net Zero» e abbiamo confermato gli obiettivi di riduzione delle emissioni Scope 1, 2 e 3 verso la neutralità carbonica nel 2050, come previsto dal Green Deal europeo. Bisogna guardare ai progetti e alle emissioni inquinanti di ogni singolo progetto».

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