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Green deal, l’anno nero della svolta verde. In arrivo le modifiche restrittive


Il Green deal è già modificato nei fatti. E far scattare una “clausola di crisi” per posticipare di un paio d’anni gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 previsti per il 2025, è ormai inevitabile. Almeno nel capitolo dedicato alle auto, dicono infatti gli esperti, centrare gli obiettivi green europei è diventata una missione praticamente impossibile. Lo dicono gli ennesimi numeri di un mercato dell’automotive che vede a picco le vendite di veicoli elettriche ad agosto: -36% in Europa e -43,9% nell’Unione europea. Roba che può costare di 30.000 posti di lavoro solo per i tedeschi di Volkswagen con tanto di taglio agli investimenti previsti. Per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Ue previsti per il 2025, ovvero per ridurre del 15% la media emissiva del loro venduto annuo, serve «una rapida crescita di vendite attesa per le auto elettriche», sostiene Transport & Environment (T&E), la principale organizzazione non governativa europea in materia di decarbonizzazione dei trasporti. Di questa crescita «rapida» non si vede però nemmeno l’ombra.

CRISI E STRATEGIE

Mentre, dunque, c’è una parte di Europa che pesa, Italia in testa, che chiede di mettere nero su bianco il rinvio dello stop Ue ai motori endotermici al 2035, definito la priorità delle priorità nella rotta di modifica delle politiche Ue, c’è un’altra parte di Europa, quella delle case automobilistiche, che ha già di fatto modificato gli obiettivi green Ue. I produttori lo hanno fatto nei piani strategici, con tanto di investimenti congelati partendo dai dati di vendita sconfortanti sulle auto elettriche snocciolati ogni mese dal comparto. Un segno evidente di come forzare la spinta solo sulle auto elettriche, invece che dare in giusto peso alla neutralità tecnologica chiesta a gran voce dall’Italia, per esempio con l’utilizzo dei biocarburanti, sia una politica ormai lontana dalla realtà oltre a portare con sé la distruzione di un pezzo di industria Ue.

Da dove viene la scarsa affezione delle famiglie alle e-car? Dai prezzi ancora proibitivi e dalla mancanza di una rete capillare di colonnine elettriche. Al contrario, i cinesi comprano sempre più auto green fatte “in casa”, a prezzi ben più competitivi. Solo dieci anni fa erano una miniera d’oro per le case automobilistiche Ue. Ora non lo sono più. Byd ha superato Volkswagen e ora è al primo posto tra i venditori. E se a luglio per la prima volta a Pechino oltre metà dei veicoli venduti erano elettrici o ibridi, la quota dei brand non-China era scesa dal 50% del 2022 al 33%. E questo è un altro segnale.

Una diagnosi chiara della crisi emerge del resto dal Rapporto Draghi sulla competitività. C’entra «la mancanza di pianificazione dell’Unione e l’applicazione di una politica climatica senza quella industriale».

I SEGNALI

L’ambizioso obiettivo delle zero emissioni entro il 2035, dice l’ex premier e presidente della Bce, «porterà all’eliminazione dei veicoli a combustione interna e alla rapida penetrazione dei veicoli elettrici». Senza però «una spinta sincronizzata per convertire la catena di fornitura», dalle produzione di batterie, alle tecnologie green, alle infrastrutture di carica, che invece vedono la Cina al primo posto. E del resto Pechino si concentrata sull’intera catena di fornitura dei veicoli green già dal 2012, ben sette anni prima che fosse partorito il Green deal Ue. La sentenza è dunque altrettanto chiara. La concorrenza cinese, frutto di «massicce politiche industriale e agevolazioni, rapida innovazione, controllo delle materie prime» ed economie di scala, è una minaccia enorme «per un’industria Ue «senza piani di coordinamento trasversali». L’ultimo grido di allarme è arrivato dal palco dell’Assemblea di Confindustria: «La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle», ha detto il presidente Emanuele Orsini, ricordando «la storia dell’auto che stiamo regalando alla Cina». Una scelta «autodistruttiva» per il premier, Giorgia Meloni. Oggi a sollecitare il necessario cambio di passo rispetto a «politiche autolesionistiche», ben diverse da quelle messe in campo da Cina e Usa, sono ancora una volta i numeri.

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