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Green deal, il conto è salato. Mille miliardi ogni anno


Ancora a galla, ma senza soldi. Perlomeno per ora. Il “rebranding” dell’Ursula 2.0 trasforma il “Green Deal” in un “Clean Industrial Deal”: è una delle iniziative che von der Leyen — appena riconfermata dalla plenaria dell’Eurocamera per altri cinque anni alla presidenza della Commissione Ue — si è intestata per i primi 100 giorni del nuovo mandato (non inizierà, tuttavia, prima di novembre). L’obiettivo? Riprendere in mano il maxi-piano di riduzione delle emissioni di CO2 e di lotta contro i cambiamenti climatici, che ha dovuto giocare in difesa sul finire della scorsa legislatura. E combinarne le numerose scadenze per accelerare la riconversione verde (2030, 2035, 2040, 2050…) con il tentativo di rilanciare la competitività industriale e la crescita in Europa grazie a investimenti sulle industrie e le tecnologie pulite, nel tentativo di gareggiare ad armi (il più possibile) pari con Cina e Usa.

I PERMESSI
Per farlo, la tedesca che ha appena intascato il bis a palazzo Berlaymont, ha promesso (genericamente), tra gli orientamenti politici per il quinquennio, uno sprint per accelerare permessi e procedure di autorizzazione, e investimenti nei settori energivori, come l’acciaio pulito. Ma sulla provenienza delle risorse pubbliche è stata abbottonata e avara di dettagli. Certo, nel discorso ha evocato un fondo dedicato alla competitività (erede, in un certo senso, del fondo per la sovranità industriale proposto nel dicembre 2022 e mai diventato realtà), ma questo vedrà la luce — se la vedrà — come parte della proposta di bilancio ordinario Ue del prossimo ciclo finanziario 2028-2034. Non proprio tra 100 giorni, insomma. Né rappresenta la ripetizione dello sforzo comune visto con il Recovery Plan, che nel frattempo arriverà a scadenza a metà 2026: nel suo intervento sulla scia della continuità, von der Leyen si è guardata bene, infatti, dal promettere che la nuova Ue possa contrarre dell’altro debito comune o altri tipi di strumenti finanziari congiunti; proposito che ha bisogno dell’unanimità dei 27 governi Ue, dove è forte l’opposizione degli Stati frugali del Nord Europa, i quali considerano il fondo per la ripresa dalla pandemia un’esperienza una tantum.

Ecco allora che, nella visione della vecchia e nuova presidente, il prossimo budget Ue dovrà essere “potenziato” proprio per tenere conto delle sfide come gli enormi investimenti necessari a realizzare gli obiettivi ambiziosi del Green Deal, tra cui quello — che la prossima Commissione intende tradurre in paletto normativo vincolante, per garantire prevedibilità alle aziende — di ridurre del 90% entro il 2040 le emissioni nette di CO2, tappa intermedia per arrivare all’azzeramento entro metà secolo. Basterà? Le cifre raccontano una storia parzialmente diversa. A fare i conti, del resto, è la stessa Bruxelles: la riconversione ecologica e il rispetto degli impegni climatici costeranno all’Unione 620 miliardi di euro all’anno da qui alla fine del decennio, tra investimenti pubblici e privati. Ulteriori, beninteso, rispetto ai 477 annui già conteggiati a partire dal 2010. Stiamo parlando, in un solo anno, dell’ampiezza totale dell’attuale budget Ue, che però è spalmato su sette: oltre mille miliardi di euro. Numeri evocati anche dal presidente di Confindustria Emanuele Orsini per suonare l’allarme sui «costi della decarbonizzazione» che rischiano di presentare il conto «alle nostre aziende», mettendone «fuori gioco molte».

Anche per i governi, il margine di azione è ridotto. Con le soglie del Patto di stabilità tornate operative, e l’apertura delle procedure per deficit eccessivo nei confronti di sette Paesi Ue, tra cui Italia e Francia, il faro si è riacceso sui conti pubblici in disordine, con la richiesta di sforbiciare la spesa. Benché il programma di von der Leyen citi espressamente il ricorso ai sussidi nazionali come una misura per finanziare l’efficientamento energetico dell’edilizia sociale, l’opzione di ricorrere agli aiuti di Stato per sostenere gli sforzi “green” di famiglie e imprese, insomma, nasce spuntata e non trova tutti gli Stati equipaggiati allo stesso modo. Con la solita Germania destinata semmai, com’è stato durante pandemia e crisi energetica, a fare la parte del leone grazie ai propri bilanci (perlopiù) in salute. Consapevole che tornare a parlare di indebitamento comune Ue è un tabù per molti Paesi (e parti dell’Europarlamento), von der Leyen punta quindi a rivolgersi ai mercati finanziari e ai risparmiatori.

LE DIVISIONI
Sono le transizioni, compresa quella verde, a battere cassa e a chiedere il superamento dello stallo sull’unione del mercato dei capitali, è il senso del messaggio: nonostante le divisioni tra i governi, la presidente della Commissione vuole fare passi avanti per l’«Europa dei risparmi e degli investimenti», perché «ogni anno 300 miliardi di euro di risparmi Ue finiscono all’estero a causa dell’eccessiva frammentazione del nostro mercato». Risorse private che, è convinta Bruxelles, potrebbero rappresentare l’anello mancante tra gli obiettivi del Green Deal “industriale” e il suo finanziamento.

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