15.05.2025
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«Giudici incompatibili». Processo da rifare. E ora alcuni reati sono a rischio prescrizione


Tutto da rifare. “Ambiente svenduto”, il processo Ilva, che si era concluso nel 2021 con una sentenza di primo grado che condannava a 270 anni di carcere 26 dei 37 imputati, proprietari, dirigenti e manager dell’impianto di Taranto, oltre ad alcuni politici, come l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, dovrà ripartire dall’udienza preliminare.

La sezione distaccata a Taranto della Corte d’assise d’appello di Lecce ha accolto la questione sollevata dalle difese già nel 2014: nel processo erano parti civili tre giudici del distretto. E poco importa se intanto uno fosse andato in pensione e l’altro avesse ritirato la costituzione di parte civile. La competenza territoriale, per la Corte, è di Potenza. Una tesi che i legali delle difese avevano sostenuto sin dall’udienza preliminare e che ora è stata accolta dalla Corte di secondo grado.

LA COMPETENZA
Il processo riguarda il disastro ambientale causato dall’Ilva durante la gestione della famiglia Riva tra il 1995 e il 2012. Il collegio, presidente Antonio Del Coco, a latere giudice Ugo Bassi e la giuria popolare, ha annullato la sentenza che nel 2021 aveva portato alle condanne. I difensori avevano sollevato la questione della competenza territoriale sulla base dell’articolo 11 del codice di procedura penale, visto che erano stati ammessi come parte civile due giudici di pace e un giudice del Tribunale civile, circostanza che sposta la competenza. E che sul punto tutti i pronunciamenti della Cassazione fossero univoci. In una prima fase, i legali avevano anche tentato di ricusare il presidente della Corte, in quanto risiedeva in una delle zone più colpite dal presunto disastro. La questione era stata respinta dalla Cassazione, così come il tentativo di celebrare il processo a Potenza perché i giudici, residenti a Taranto, non avrebbero avuto la “serenità” di esprimere il giudizio.

IL PROCESSO

Ieri è stato letto solo il dispositivo, mentre le motivazioni saranno depositate entro quindici giorni. L’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, è ufficialmente in vendita dal 31 luglio scorso. Il processo Ambiente svenduto era nato dall’inchiesta che il 26 luglio 2012 aveva portato al sequestro degli impianti dell’area a caldo. Ai 37 imputati vengono contestati a vario titolo i reati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Le condanne più pesanti erano state per gli ex proprietari e amministratori, Fabio e Nicola Riva, 22 e 20 anni di reclusione. Ventuno anni e sei mesi erano invece stati inflitti all’ex responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà (deceduto nell’aprile scorso), 21 anni all’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, pene comprese tra i 18 anni e mezzo e i 17 anni e 6 mesi di carcere a cinque ex fiduciari aziendali. A tre anni e mezzo di reclusione (di 5 anni la richiesta dell’accusa) fu condannato l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola al quale è stata contestata la concussione aggravata in concorso. Il processo ripartirà da Potenza con l’ombra della prescrizione per diversi reati, ma non per quelli dolosi. Lo scorso 17 maggio il Collegio della Corte d’Assise d’Appello, con un’ordinanza aveva disposto la sospensione degli importi liquidati alle parti civili nella sentenza di primo grado a titolo di provvisionali (sostanzialmente degli anticipi in attesa che arrivi l’eventuale sentenza definitiva di condanna), pari a 5000 euro per oltre 1500 parti civili. Il Collegio aveva osservato che la sentenza di primo grado conteneva alcune criticità. Trattandosi di 1500 parti civili, per gli imputati era economicamente gravoso pagare un così elevato numero di soggetti, ma soprattutto aveva sottolineato che se gli imputati fossero successivamente stati assolti sarebbe stato di fatto quasi impossibile riuscire ad ottenere la restituzione di quelle somme: cifra totale che sfiora i 7,5 milioni di euro.

LE REAZIONI

Esprime «preoccupazione e amarezza» il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci. «Sono esterrefatto», dichiara il deputato di Avs Angelo Bonelli. Che aggiunge: «l’inquinamento è stata un’invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia. Con questa decisione, su Taranto si infligge l’ennesima ferita dopo il disastro sanitario». L’annullamento della sentenza «è una notizia drammatica e surreale» chiosa la senatrice del M5S e componente della Commissione Industria Sabrina Licheri. Anche per Legambiente «ingiustizia è fatta». E «grande delusione» viene espressa dalle associazioni dei consumatori che annunciano «un esposto contro i giudici che hanno emesso la sentenza annullata dalla Corte, affinché siano accertate le relative responsabilità nella vicenda giudiziaria».

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