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Giorgetti difende il golden power: «Tutela l’interesse nazionale»


Giancarlo Giorgetti si schiera a difesa delle prerogative del governo italiano sul golden power, i poteri speciali in mano a Palazzo Chigi per difendere l’interesse nazionale. Lo fa parlando a margine del meeting di primavera del Fondo monetario internazionale per rispondere a chi gli domandava se non ritenesse necessario un passo indietro del governo rispetto alle partite bancarie in corso. Da qualche giorno si discute, per esempio, se alcuni dei “rimedi” indicati nel decreto sul golden power per Unicredit, non siano competenza della Bce o dell’Antitrust. Giorgetti ha ricordato che «c’è una legge approvata nel 2022 col governo Draghi», e aggiunge, «io l’ho votata». Una legge che «prevede che il governo debba valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Banca Centrale Europea o della Dg Competition, è l’interesse nazionale». Giorgetti ha anche notato come in America abbiano un concetto di interesse nazionale «più virile», mentre in Italia è «più lasco». Cosa che, ha ammesso il ministro dell’economia, gli provoca un certo senso di invidia.

Giorgetti ieri ha parlato anche degli incontri avuti con il segretario al Tesoro Scott Bessent e con le agenzie di rating. Partiamo dal primo. Sul tavolo, ha spiegato il ministro, non c’era soltanto la questione dei dazi, ma anche altri dossier delicati. Vale a dire la tassazione delle multinazionali del web e le spese per la difesa. «Ci sono i presupposti per affrontare temi complicati in tempi complicati», ha detto Giorgetti, aggiungendo che però «lo spirito è quello giusto e quindi c’è apertura da parte loro come c’è apertura da parte nostra». L’idea del ministro è che tutti questi dossier si discutano insieme e non separatamente per arrivare a un «big deal», un grande accordo con gli Stati Uniti. Le parole di Giorgetti vanno incrociate con quelle di Bessent. Nei giorni scorsi il segretario al Tesoro americano aveva spinto l’Europa a mettere in atto quanto scritto nel piano Draghi. Un piano che getta i presupposti per un debito comune per le spese della Difesa e che chiede, tra l’altro, di eliminare tutte le barriere regolamentari interne dell’Unione europea che, secondo le stime dello stesso Fondo monetario internazionale, equivalgono a dazi del 45 per cento. Non a caso nel rapporto sul Commercio estero sventolato da Donald Trump il 2 aprile, nel “Liberation day”, molte delle lagnanze verso l’Europa contenute nel documento non erano tariffarie ma regolamentari.

IL PASSAGGIO

Giorgetti ha parlato anche del suo incontro con le agenzie di rating di due giorni fa. Un incontro in cui l’umore registrato nei confronti del Paese è decisamente migliore. «Tre anni fa, nei primi incontri», ha sottolineato Giorgetti, «dovevamo ancora dimostrare qualcosa, adesso l’abbiamo dimostrato. Tanto è vero che le domande circa la sostenibilità del nostro debito, della finanza pubblica italiana, non vengono neanche più fatte. Le danno per scontate. Questo», ha detto il ministro italiano, «mi sembra un grande passo in avanti». Giorgetti ha anche rivelato che hanno ironizzato «sul fatto che molti di voi si facevano domande sulla capacità del nuovo governo di riuscire a rifinanziare tutto il debito in scadenza. Come vedete nelle aste del Btp», ha aggiunto, «questo non è più un problema per il Governo italiano». Infine il ministro ha provato a chiudere le polemiche con Confindustria sul decreto bollette, giudicato insufficiente dagli industriali. «Si è fatto», ha chiosato il ministro, «quello che era possibile».

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