Piazze e contro-piazze. Ma la vera piazza di questa campagna elettorale sono i giardini del Quirinale. Nelle altre si fa propaganda, si stenta a riempirle, e si alza il volume nella speranza che lo scarso interesse dei cittadini per le Europee — causato dall’assenza di temi forti che non siano solo riferibili agli equilibri del Palazzo e dei partiti — alla fine della corsa si trasformi in partecipazione attiva che smentisca tutti i pronostici sull’astensionismo alto. Nella festa del 2 giugno al Colle c’è il cuore di ciò che è o che dovrebbe essere la campagna elettorale. Perché nei capannelli di politici e dignitari, si parla di Europa e di come uscire dalla guerra. E guarda caso, i ministri più ricercati nei vialetti in mezzo al prato e nei gazebo dove si beve sulle aiuole sono Crosetto (Difesa) e Tajani (Esteri). Il primo dei due è assediato dalle domande: «Guido, come se ne esce?». E lui: «Lavoriamo per la pace ogni giorno. Aiutiamo l’Ucraina a difendersi ma abbiamo, e ho personalmente, favorito la missione di pace vaticana anche in questi giorni difficili».
L’APPUNTAMENTO
Non pochi aspettavano, su questa piazza quirinalizia, il cardinal Zuppi, presidente Cei, per gustare un duello con Meloni. Ma niente. Il prelato più omaggiato è padre Benanti, saio francescano, presidente della commissione governativa sull’Intelligenza artificiale. Pier Ferdinando Casini gli si avvicina: «Vorrei salutare il genio». Tutti gli altri lo raggiungono e sparano più o meno la stessa battuta: «Padre, mi darebbe un po’ di intelligenza artificiale, perché la mia comincia a fare cilecca». Nei giardini ci sono destra e sinistra, file per andare a salutare Giuseppe Conte con la fidanzata Olivia in abito lungo strapieno di fiori. Renzi è con Agnese, non ci sono né Schlein né Calenda perché in giro, lei tra Milano e Torino. Ma l’interesse che suscitano Conte e Renzi deriva dal fatto che qui in molti pensano che il centrosinistra nel voto andrà molto bene. Già comincia il riciclo? Meloni evita di fare la superstar. E Arianna con vestito di pizzo nero nei giardini è più visibile di Giorgia. La quale a un certo punto scherza con Rutelli. Lui le fa: «Ti diverti?». E lei: «Mah, mi diverto…. Certo non mi annoio ma tra non mi annoio e mi diverto ce ne passa».
È quassù sul Colle la vera campagna elettorale non certo perché si litiga con il flûte tra le dita tra destra e sinistra. Ma perché nelle piazze va in scena, in queste ore e nelle prossime, il solito rito — poco partecipato dai cittadini, a parte la gente di partito e di apparato — della reciproca e anche legittima in questa fase de iniziazione vicendevole per cui Meloni è stata scortata contro la sinistra che sparge “odio” che può sfociare in “violenza” e Schlein che da Milano e Torino descrive Giorgia come una dittatrice in pectore e l’Italia come un Paese in piena «deriva antidemocratica».
I TEMI
Quassù invece, si parla dei temi alti della libertà d’espressione. E Mattarella ha insistito su questo nel suo discorso per il 2 giugno, rivolto ai prefetti. A cui raccomanda «la garanzia dell’esercizio del diritto di riunione e manifestazione». Ricorda che «nel ‘46 la scelta del popolo italiano per la Repubblica scrisse una pagina decisiva di democrazia e pose le basi per un rinnovato patto sociale, che avrebbe trovato compiuta articolazione nella Carta costituzionale. Fare memoria del lascito ideale di quegli avvenimenti fondativi è dovere civico. Per non dire dell’Europa di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento di Strasburgo e Bruxelles, la sovranità». E la guerra? «Pace, ma senza baratti insidiosi».
Intanto si insegue Tajani per cercare di capire come potrà l’Europa non finire schiacciata tra Usa (trumpiani?) e Cina. O Fabio Panetta, governatore di Bankitalia, a cui tutti fanno i complimenti per le sue considerazioni dell’altro giorno: «Non sono un guru, mi limito a pensare che l’Europa deve progredire verso una vera d proprio Unione di bilancio». Anche a lui, come a padre Benanti, danno tutti del genio. E viene guardato come la riserva della Repubblica che prima o poi, se capiterà una nuova crisi della politica, potrà salvare l’Italia. Lui e non Draghi anche perché stavolta Draghi non c’è ad allietarela festa del 2 con le sue battute sulle Roma o con altri motteggi. La politica comunque, vista da quassù, non sembra affatto in crisi. Meloni, a chi le chiede come andranno le elezioni, non risponde dicendo le percentuali («Non le so neppure io d non le direi neppure sotto tortura, sono scaramantica») ma sorridendo. Come a dire che si aspetta una performance sua e dei partiti del centrodestra piuttosto soddisfacente. Ma anche i dem della festa, Franceschini (con la moglie Michela Di Biase), Boccia, Decaro, Braga di cui gli amici dicono «sono loro i veri capi del Pd», sono carichi di speranze: «C’è un buon vento». Di questi staranno parlando sotto le palme Veltroni e Conte? Poco più in là c’è Luigi Di Maio con la compagna che è incinta.
Meloni ha cambiato sia l’abito (era casual e in beige durante il comizio in piazza del Popolo e si presenta in completo bianco alla festa sul Colle) sia la postura: pura e dura e super- sferzante anti-sinistra nel comizio e quassù invece sia pure non rinunciando allo stile pop («Aò, datemi del tu, io sono Giorgia per tutti nelle piazze nei palazzi») ha una condotta molto istituzionale e il suo low profile da celebrazione del 2 giugno risponde appunto alla volontà di non trasformare la festa repubblicana in una festa meloniana. Ovvero, la campagna elettorale resta nelle piazze e non sale sui giardini del Quirinale. Perciò questa piazza è una bella super-piazza, perché è gonfia di discorsi di prospettiva e non risente affatto del clima di scontro elettorale. Crosetto oltre che dai generali (fa spesso coppia con il capo di stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone) è raggiunto da diversi esponenti dem sotto il gazebo centrale. Il segretario della Cgil, Landini, che è considerato il più forte avversario del governo in carica, motteggia con diversi ministri.
I MINISTRI
Due di loro, Sangiuliano e Fitto, arrivano sul Colle direttamente dal comizio di piazza del Popolo. Fitto è continuamente circondato da persone che gli chiedono: come va il Pnrr? E lui, come in un mantra: «Bene. Il rapporto Ue che fa il paragone tra tutti gli Stati membri dice che l’Italia è il Paese che ha raggiunto il maggior numero di obiettivi». Ecco: è di Pnrr che bisognerebbe parlare nelle piazze delle campagna elettorale, perché il Pnrr parla delle cose reali di interesse dei cittadini, e invece del piano di ricostruzione si parla in questa super-piazza ma non nelle piazze che dovrebbero parlare questo e non di fascismo o antifascismo (suvvia!). Sangiuliano nota nei giardinetti un particolare interessante: «Sento che quelli di sinistra parlano di europeismo dando a noi la patente negativa di anti-europei. Mi fa sorridere questa cosa. Il Pci fu contrario ai Trattati d’Europa firmati proprio qui accanto, sulla cima del Campidoglio nel ‘57. Renato Mieli, caporedattore dell’Unità, racconta nel suo libro Deserto rosso che Pajetta lo incaricò di guidare un gruppo di compagni che dovevano vagliare le tesi pro e contro l’Europa nel popolo di sinistra. Quando Mieli gli consegnò il lavoro, Pajetta lo gelò: mi dispiace, abbiamo già scelto di essere contro l’Europa».
Il premierato è il tema vero di cui tutti parlano (più i contrari che i favorevoli). Ma guai a farsi sentire da Mattarella. Non vuole farsi tirare per la giacchetta. La stretta di mano tra lui e Meloni è corredata da reciproci sorrisi. Per fortuna mancano gli scrittori del girotondo anti-governativo. E per fortuna dalle parti di Veltroni (D’Alema è più in là e racconta di quando da capolista nel Sud alle Europee 2004 prese la bellezza di 830 mila voti e Decaro ora in corsa aspira almeno a 200mila: «Ci metterei la firma») c’è il regista Peppuccio Tornatore e si aggirano il giallista De Giovanni ma ecco Renato Zero, Claudio Baglioni che oggi canta l’inno di Mameli alla parata e Fabio Rovazzi (comandare e comanderà la destra o la sinistra dopo il 9 giugno in Ue?), il ballerino Roberto Bolle, Nicola Piovani, Lino Banfi.
All’ora di cena, la super-piazza con le palme del Colle si vuota. Il problema è che non si riempiranno le tante piazze dei partiti nell’ultima settimana di campagna elettorale. E infatti, intorno a Mattarella, a Meloni e a tutti gli altri, ieri sera serpeggiava il timore massimo: e se andranno a votare meno del 50 per cento degli italiani?
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