Un tempo a Roma si diceva «il buongiorno si vede dal Nattino». Un riconoscimento sia alla più famosa famiglia di banchieri capitolini sia a Giampietro, il banchiere morto ieri mattina a quasi 90 anni. Terza generazione di un casato borghese che ha origini sabaude e si è forgiato nelle regole militari, Giampietro Nattino ha trasformato con il padre Arturo la boutique di famiglia (erano valentissimi agenti di cambio quando la Borsa di Roma era un’eccellenza europea) in una delle principali centrali del private banking del Paese.
Proprietario di Finnat e uno dei più grandi banchieri della Capitale: aveva 89 anni
Infatti, prima in negli uffici di piazza Monte Citorio e poi dal piano nobile di Palazzo Altieri, si sono moltiplicate attività poco avvezze nell’Italia del tempo come la gestione personalizzata di patrimoni in valori mobiliari, l’intermediazione soprattutto in campo obbligazionario con Euramerica, i servizi fiduciari, i piani successori fino al brokeraggio assicurativo, la gestione e la creazione dei fondi immobiliari. Un’offerta a tutto tondo, senza dimenticare conti correnti, carte di credito e concessione di mutui.
LA STRADA
«Da ditta familiare — diceva — ci siamo trasformati in impresa». Mantenendo pienamente il controllo anche quando nell’azionariato sono entrati nomi come Imi, il Banco di Santo Spirito, la Morgan Stanley o il gruppo Capitalia.
Il legame tra Giampietro Nattino e Roma era fortissimo: a Palazzo Altieri, sede della sua banca dove un tempo viveva Anna Magnani appena abbandonata da Roberto Rossellini, sono sfilati tutti. Le famiglie della vecchia nobiltà e della nuova borghesia romana, le alte sfere vaticane — Giampietro è stato membro della Prefettura Apostolica — i vertici dell’economia del Paese, cioè di aziende come Pirelli, Finmeccanica, Erg, Gabetti, Mondadori Snia Viscosa fino ai Del Vecchio e ai Benetton. Sempre qui si sono decise partite importanti come gli equilibri nel settore delle acque minerali attraverso Terme di Acqui Spa, la ricostruzione infrastrutturale del Paese dopo la guerra — per esempio con Condotte per la realizzazione del Traforo del Monte Bianco — o il progetto — che poi vedrà l’ultimo stadio in Capitalia — di Cesare Geronzi e Emmanuele Emanuele per creare una grande banca commerciale romana dopo la liberazione del settore. Persino il salvataggio della Lazio destinata a scomparire dopo il crack Cragnotti.
Perché Giampietro Nattino e i suoi fratelli — come Enrico Cuccia a Milano — sono stati i primi a capire che il frastagliato e volenteroso capitalismo italiano poteva reggere soltanto mettendo assieme le strategie delle fabbriche, l’armonia — anche in chiave successoria — all’interno delle famiglie — il volano delle imprese di Stato, progenitori di quei campioni nazionali che tanto oggi servirebbero all’Italia. «Ho sempre pensato — raccontava — che la finanza debba essere molto integrata con l’impresa. Ma la finanza devi anche seguirla. Quando un’azienda entra in crisi, la banca giustamente si mette paura e non vede l’ora che l’imprenditore passi la mano. Ma ho potuto constatare negli anni che se conosci dall’interno l’azienda e riesci a controllare la paura, in realtà chi riesce a superare la crisi spesso è lo stesso imprenditore».
LE AZIONI
Il tutto in silenzio e a servizio dei propri clienti come del Paese. Rispettando e tenendo a distanza i partiti. «Perché i politici cambiano — diceva — e i nostri affari non possono seguire il loro destino».
Fin qui il manager, il banchiere, il silenzioso e accorto consigliere di papi e cardinali. Poi c’è l’uomo. Studi al Massimo, che è stato fucina di riserve della Repubblica come Mario Draghi, per poter giocare a pallone la famiglia gli aveva “imposto” di fare i compiti al ritorno della partita. E lui li faceva in piedi. Per lo sport si è sempre speso — il calcio con la mitica Fortitudo, rally automobilistici e sci — arrivando anche a fare il vicepresidente della federazione sport invernali. Una nomina conquistata sul campo, anzi sulle piste: restano agli annali le sue sfide con il miglior discesista amatoriale del Sestriere, l’economista Alberto Quadrio Curzio, che in più occasione ha sfiorato la guida della Banca d’Italia.
In pochi lo sanno, ma lui — se avesse potuto soddisfare i sogni giovanili — avrebbe fatto l’ingegnere.
I suoi valori profondamente radicati hanno generato una realtà moderna e vitale, mentre il suo desiderio di continuità oggi si realizza con la quinta generazione famigliare al lavoro in un’azienda che rappresenta una delle più importanti realtà private nel panorama della finanza bancaria ed immobiliare italiana, forte della sua solidità e riconosciuta reputazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this