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gestirà Pnrr e fondi al Sud, sul suo tavolo dossier importanti


Sorriso tirato fino all’ultimo. «Vediamo, calma ragazzi…». Poi un lungo sospiro, gli applausi e gli abbracci, un fiume di sms a cui risponderà chissà come e quando. È fatto così, Raffaele Fitto. Ursula von der Leyen ha mantenuto la parola, gli ha riservato un posto nella plancia di comando europea, vicepresidente esecutivo, commissario al Pnrr e alle Riforme, mille miliardi in portafoglio. C’è da immaginarselo a stappare champagne, gridare vittoria. Macché: calma e gesso. Ne avrà bisogno e a palate a Bruxelles, dove lo attende una lunga e faticosa marcia.

LA MARCIA

Il test all’Eurocamera per la “promozione” a commissario per cui ha studiato un’intera estate: lezioni di inglese, economia politica, finanza e via dicendo. Poi, se filerà tutto liscio, la convivenza in una Commissione che non è ostile, ma neanche tutta amica dell’Italia targata Meloni che con Fitto spera di difendere il cammino del Pnrr italiano, i fondi per le regioni e il Sud, se necessario chiedere una proroga e un occhio di riguardo. La vicepresidenza esecutiva cercata fino all’ultimo è uno scudo che gli tornerà utile. Lo scalpo politico chiesto con insistenza da Meloni. Fitto, ministro dei Conservatori, il partito che ha impallinato Ursula in aula, entra con i galloni di generale.

E se il prezzo è un portafoglio che non è di prima fascia — la Spagna socialista, per dire, ha incassato il Green deal e la concorrenza insieme, deleghe monstre — potrà comunque dare ordini ad altri commissari, magari di partiti rivali. Cadranno sotto il suo ombrello dossier delicatissimi: Trasporti e turismo, agricoltura, pesca e oceani. Perfino l’allargamento d’intesa con l’Alto rappresentante estone Kaja Kallas.

Litigare con sindaci e governatori per sbloccare questo o quel finanziamento del Pnrr, al confronto, sembrerà una passeggiata. Calma e gesso, è il mantra del commissario in pectore. C’è un motivo se è arrivato fin qui, il maratoneta di Maglie, cuore democristiano come il papà Salvatore scomparso quando aveva 19 anni e di cui ha seguito le orme in politica: lo scudo crociato al petto, la scalata rapidissima nel centrodestra sotto gli occhi benevoli (poi delusi, dopo lo strappo) del capo Silvio Berlusconi, il governo della Puglia, come papà “Totò”, a soli 31 anni.

Tappe bruciate. Traguardi tagliati contro ogni pronostico: deputato e governatore, ministro e colonnello della destra a Palazzo Chigi, ora la Commissione Ue. Altri invece mancati: due elezioni perse in Puglia, contro Nichi Vendola e Michele Emiliano, qualche disavventura politica, partiti che nascono e muoiono, peripezie giudiziarie tra inchieste e processi chiusi sempre però con l’assoluzione. È un sopravvissuto “Raf”, come lo chiama Giorgia Meloni che con lui come con pochissimi altri (basta una mano a contarli) si affida e confida e prova un gran «dolore» a vederlo partire da Roma.

Sopravvissuto è anche chi, e non sono pochi, in questi due anni di governo ha provato a mettere nel mirino il “leone” di Maglie, l’uomo che sussurra alla premier. Sindaci e e presidenti di Regione — la nemesi si chiama Vincenzo De Luca — costretti a farci i conti per il Pnrr, infuriati per ritardi veri o presunti del Recovery italiano e i fondi di coesione. Le lobby e le corporazioni, vedi i balneari e i “balnearisti” in maggioranza, in trincea contro il colonnello di FdI. Disposto al massimo a fare qualche compromesso, concessioni poche altrimenti «l’Ue ce la fa pagare». E senza andar lontano, colleghi e perfino ministri (citofonare Salvini) irritati dal caratterino di ferro dell’ex governatore pugliese. «Ci serve un finanziamento per quel treno lì, dobbiamo rinviare quell’investimento là». E Fitto immobile, poker face: «Mi spiace, non si può fare».

I DUBBI DI “GIORGIA”

Sembrano trascorse due vite da quando “Raffa” impennava con la moto insieme agli amici d’infanzia a Maglie, superava per il rotto della cuffia la maturità scientifica: 38 su 60. Invece sono poco più di trent’anni. Commissario europeo, chi l’avrebbe detto allora. Meloni, quando il cruccio delle nomine Ue è atterrato sulla sua scrivania, non ha esitato un attimo. Il nome giusto «è Raffaele».

Poi, solo poi, i dubbi e i ripensamenti: non sarà un errore? Da un lato il rischio di “bruciare” l’unico ministro, o quasi, che la fa dormire serena di notte. Dall’altro il vuoto che si apre con la partenza di “Raf”. Il Pnrr è un grande punto interrogativo su cui si arrovella da mesi la leader italiana. Giunta per ora a questa conclusione: Fitto sorveglierà da Bruxelles, con il portafoglio alle riforme (su cui incombe anche il falco lettone Dombrovskis). A Roma, per il momento, ci penserà lei. Terrà la delega agli affari europei e solo una volta passata la marea, con Fitto insediato in Ue, affiderà a un fedelissimo di Palazzo Chigi, magari a Giovanbattista Fazzolari, la supervisione del Recovery italiano.

Sarà una scalata ripida, quella per prendere posto ai piani alti di Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Ue. Fitto lo sa e forse per questo trattiene l’euforia.

Diffonde una nota sobria che strizza l’occhio al Pd di cui dovrà chiedere i voti: «Intendo esercitare il ruolo affidatomi, una volta concluso l’iter di approvazione della nuova Commissione, con il massimo impegno e nel pieno rispetto dei Trattati e del loro spirito, nella consapevolezza che i prossimi cinque anni saranno fondamentali per il futuro dell’Ue e dei suoi cittadini». Poche parole, poi stop. È già un evento per chi come lui, circondato da colleghi-megafono sempre pronti a dichiarare, annunciare e poi smentire (quanti inciampi in due anni per gli “incontinenti” verbali), parla il meno possibile in pubblico. Zero interviste: un record. Snobba le telecamere e i riflettori, se può schiva polemiche e schermaglie. Calma e gesso: ne avrà bisogno a Bruxelles.

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