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«Gallagher e Patsy, mi lascio ispirare dai miti Anni ‘90»


Old Stories, New Eyes. Vecchie storie da raccontare con nuovi occhi. Con questa visione Silvia Onofri, presidente di Napapijri dal 2023 sta rivoluzionando lo storico marchio specializzato in outwear, nato sulle pendici del Monte Bianco alla fine degli anni ’80. La manager di origine romana, 47 anni, dopo un ampio background di vent’anni nel settore della moda — dagli inizi in Bulgari come marketing e product manager, passando al ruolo di global trade marketing manager e poi come chief commercial officer global wholesale & licences in Bally — da quando è entrata nella VF Corporation, azienda storica di abbigliamento statunitense proprietaria, oltre a Napapijri, di brand come Timberland, The North Face, Vans, Kipling e Supreme, sta facendo tornare il marchio italiano un vero e proprio fenomeno culturale.

Silvia, quando e come nasce il suo rapporto con la moda?

«Emotivamente, da sempre: appartengo a quelle bambine anni ‘80 cresciute con l’ammirazione per i grandi stilisti italiani che, in quegli anni, illuminavano le vetrine e le passerelle di tutto il mondo facendo del made in Italy la massima forma di espressione di bellezza e desiderio».

Ci racconta un po’ la storia del brand?

«Napapijri nasce nel 1987 alle pendici del Monte Bianco dalla mente creativa di Giuliana Rosset che esordisce con la creazione di borse da viaggio in tela di cotone cerata, materiale utilizzato per le tende da campo militari. In quel momento nasce la prima icona del brand, la borsa Bering. A differenza di quello che molti pensano, l’abbigliamento arriva solo nel 1990 con Skidoo, il famoso anorak che ha segnato le tendenze di intere generazioni».

Cosa è mutato con il suo arrivo?

«Dal mio arrivo 18 mesi fa la priorità è far sì che la filosofia autentica del brand sia evidente e consistente in ogni prodotto della collezione, che la riscoperta dei pezzi di archivio serva da punto di partenza per le nuove idee creative, e che la comunicazione canalizzi il vero linguaggio del marchio, con contenuti rilevanti per la comunità che lo sceglie. Il mio motto è “Old Stories, New Eyes”».

Quali sono le ispirazioni che influenzano le collezioni?

«Il future heritage è l’anima concettuale delle collezioni: da lì ovviamente lo spirito di esplorazione e la ricerca del dettaglio inaspettato guidano le proposte stagionali dei creativi».

Ci sono dei capi chiave su cui puntate?

«Assolutamente si, le nostre icone: anorak, fleeces, travel bags e le polo dalle combinazioni colori inaspettate. Abbiamo fortemente voluto far tornare la maglieria, in tinte tenui, naturali, in lana riciclata e un look vintage, mentre l’outwear si avvia deciso verso design futuristici. La storia torna sotto forma di tecnologia integrata».

Avete scelto Lennon Gallagher e Patsy Kensit, figlio e madre, come volti dell’ultima campagna, nel momento della notizia della réunion degli Oasis: tramite loro cosa volete raccontare?

«La scelta nasce prima ancora dell’annuncio della réunion, il lavoro è iniziato un anno fa. Si voleva rappresentare un legame autentico legato ai ricordi e agli anni ‘90, che per noi sono dove nasce l’anima del brand. Patsy e Lennon per la prima volta lavorano insieme mostrando ancor prima dei loro volti noti la loro relazione madre-figlio, rappresentando per noi l’eredità affettiva da trasmettere attraverso un capo che racchiuda ricordi da tramandare tra le generazioni».

Napapijri e sostenibilità: a che punto siete?

«I nostri sforzi sono tutti per raggiungere il 100% dei materiali da fonti rigenerative e responsabili, rinnovabili o riciclate entro il 2030 attraverso quattro pilastri strategici: circolarità, durata, tracciabilità e materiali da fonti sostenibili. Abbiamo obiettivi estremamente ambiziosi ma con uno scopo molto chiaro: quello di non sacrificare mai la bellezza del design».

Lei è romana, che rapporto ha con la Capitale?

«Roma è la mia città e, con la mia famiglia, l’elemento che più ha contribuito alla mia leadership. Ha influito tantissimo nel senso estetico, nella ricerca del bello e della storia, nella capacità di comunicare con spontaneità e di lavorare affiancando calore e professionalità. Quando torno a casa mi piace trascorrere il mio tempo con gli amici di sempre, prendere il caffè al bar del liceo ed osservare quell’energia unica data anche dai 300 giorni di sole l’anno che la caratterizzano. Roma ha ancora molto da dare in tanti campi, non solo nella moda. Deve però cambiare il linguaggio, rendersi più internazionale e aperta alle novità». 

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