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G7 di Napoli al via. La cultura italiana lezione per il mondo


Comincia domani il G7 della Cultura a Napoli, con appendice a Pompei, e comincia sulla scorta dell’affaire Boccia ma saprà, non ne abbiamo dubbi, cancellare questa scia poco edificante e diventare un’occasione per l’Italia di mostrare ciò che è e che rappresenta. Ossia il cuore della cultura universale. E non solo per ragioni storiche. Ma per quell’impasto di tradizione e di innovazione, di cui noi possiamo considerarci, come popolo di sapenti e di utenti del sapere, dei leader universali. Per la qualità dei nostri musei, per la straordinarietà del nostro patrimonio storico-artistico che non ha pari nel mondo e, soprattutto, per l’eccellenza del nostro insegnamento scolastico che ci viene invidiato ovunque e di cui dobbiamo, anche in occasioni così maestose come un G7, farci più efficacemente vanto. Altro che gossip, altro che storie pompeiane, intese come quelle riferite ai disastri mediatici delle scorse settimane. Il G7 sarà la sede per illustrare a tutti ciò che questo Paese è realmente. Un simbolo, o meglio un agente operativo, di apertura culturale e di universalismo culturale. 

L’ECCEZIONALITÀ

Noi siamo Roma e Roma ha creato una koiné di linguaggi, di saperi, di leggi e di sogni, di narrazioni e di prospettive che hanno caratterizzato l’Occidente, lo hanno spalancato al mondo e il mondo si è aperto a noi. Chi altri può esibire, e vivere consapevolmente e fortemente, questa eccezionalità? Chi altri ha il Mediterraneo come mare nostrum e come mare di tutti, come luogo di mediazioni e di incontri, pieno di intrecci e di scambi d’intelligenza al servizio e a supporto delle genti di ogni parte del globo? Dove c’è curiosità e creatività c’è Italia, e allora evviva questo G7 che serve a mettere sul terreno con chiarezza certi punti. Abbiamo la possibilità, grazie a questa vetrina, di dire ciò che siamo e da dove veniamo. Possiamo fare con questo evento un racconto unitario di noi stessi (altro che destra e sinistra, altro che egemonia di sinistra o egemonia di destra: la cultura serve a unire ed è costruzione e inclusione) e ricordare a tutti, e anzitutto a noi, che la promozione del dialogo interculturale è il quid di ogni civiltà che si voglia dire disponibile a innovarsi e a migliorarsi. E l’Italia sta all’avanguardia da questo punto di vista perché è il luogo, per citare Heidegger, in cui «la grande tradizione ci viene incontro come l’avvenire». Dobbiamo essere cioè consapevoli di essere depositari di una grande storia e con quella possiamo sfidare, insieme a tutti gli altri Paesi dotati della medesima sensibilità, anche il futuro estremo e già presente della tecnologia. Il G7 può aiutarci in questo scatto in avanti e segnalare l’Italia per quello che è: non un’anticaglia o una retrovia, ma un trampolino a disposizione di tutti. Ortega y Gasset diceva che «l’Europa è il solo luogo che abbia un contenuto». Una visione piuttosto limitante, per gli altri. Ma di sicuro si può dire che l’Italia è piena di contenuti e di imprese che investono nei contenuti culturali, nell’immaginario e nella produzione di fatti dell’intelligenza. Basti pensare all’industria dell’audiovisivo di cui siamo campioni. Ma siamo anche il Paese che si fossilizza sulle polemiche del passato — il ‘900 ci imprigiona — e che non sa mettere a sistema il patrimonio di conoscenze che abbiamo e si tarpa le ali da solo. Perché applica la lottizzazione anche alla cultura e la logica della divisione a ciò che più di comune possa esserci. Questo G7 allora può segnare un cambio di passo anche rispetto alle nostre cattive abitudini. La prima è quella di considerare come si deve la meritata fortuna che abbiamo: cioè di essere, come Paese, la capitale mondiale della cultura e dell’arte. Ce ne siamo a tal punto dimenticati, lungo i decenni, che fino al 1974 il ministero dei Beni Culturali era appena una dépendance della Pubblica Istruzione. Il quarto governo Moro decide di scorporare la struttura che, in origine, doveva essere un’autorità, un’agenzia e non un dicastero. Questa è stata la rilevanza che abbiamo attribuito al cosiddetto «petrolio nazionale», fatto di giacimenti di conoscenza ma usato troppo spesso per oliare cordate sindacali e corporative, lotte di potere, conservatorismi inaccettabili e lottizzazioni varie. 

IL FUTURO

Fare cultura vuol dire pensare il futuro e così non si è fatto per tanto tempo. E fare politica culturale significa, di questo il neo-ministro Alessandro Giuli è fortunatamente molto convinto, dare fiducia ai tecnici. Significa definire priorità, progetti e obiettivi e poi scegliere le persone migliori per concretizzarli. Al Collegio Romano, sede del ministero, questo si sta cercando di fare dopo la baraonda delle scorse settimane, e non mancano a Giuli i buoni consiglieri e i buoni consigli per rilanciare questo comparto creativo, costruttivo e produttivo. Che al tempo dell’over tourism e del bisogno dell’Italia e delle città e metropoli italiane di competere meglio sul mercato della cultura, della bellezza e del buon vivere, mercato sempre più spietato, ha bisogno di una riorganizzazione consapevole e lungimirante. Il summit di Napoli può valere dunque per noi come un’ottima occasione d’immagine. Ma anche come una forma d’introspezione sui nostri errori e sulle nostre manchevolezze rispetto alla cultura e alla maniera di maneggiarla e di farla fruttare spia spiritualmente sia economicamente.

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