10.05.2025
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Economy

Fuga di cervelli, quel grande esodo di giovani laureati e l’ipoteca sul futuro


L’Italia ha lasciato andare all’estero 525mila giovani in quindici anni. Un popolo di menti fresche e ben formate, perlopiù laureate, che equivale alla popolazione dell’intera città di Genova. Tutte menti partite a caccia di «opportunità retributive e di carriera decisamente più favorevole» per il Governatore di Bankitalia, Fabio Panetta. Non è che l’ultima fotografia amara di un Paese che proprio nei giovani dovrebbe trovare le leve per agganciare un’occupazione più robusta, nonostante i progressi recenti, spingere sulla crescita necessaria e essere al passo della competitività. Perché mezzo milione di giovani fanno una robusta classe dirigente, ma anche i ricercatori e i formatori di domani. E lasciarlo andare via significa fare un gran regalo altrove.

La sfida è dunque invertire subito il grande esodo e difendere a denti stretti il capitale umano del nostro Paese, per il Governatore, che pesa la crescita del Pil almeno quanto il progresso civile mentre la partita del secolo, quella sulla tecnologia, è in pieno svolgimento.

L’EFFETTO FIGLI

Del resto quando i numeri sul calo demografico sono così chiari, si tratta di usare al meglio le doti concesse, senza sprecarle. Da qui al 2040, ricorda il Governatore snocciolando i dati dell’Istat, «il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170mila persone all’anno». Si tratta di qualcosa che vale un calo prospettico del Pil del 13%, secondo il calcoli di Bankitalia, con un taglio del 9% in termini pro capite. È qui che possono entrare in gioco i giovani di oggi e di domani. Per comprendere fino a che punto, Panetta ha usato ancora una volta i numeri. «Nonostante la crescita dell’ultimo decennio, la partecipazione al mercato del lavoro, pari al 66,7%, rimane di 8 punti percentuali inferiore alla media dell’area dell’euro». Un divario «non ampio per gli uomini», ma che «sale a 13 punti percentuali sia per i giovani tra 20 e 34 anni sia per le donne».

A giocare un brutto scherzo anche in Italia è stata la crisi del 2008. L’occupazione tra i ragazzi con età compresa tra i 20 e i 34 anni ha risentito della bassa crescita. E i flussi in uscita dei giovani dal Paese sono cresciuti marcatamente dopo la crisi del debito sovrano. Il popolo delle “prospettive migliori all’estero” è dunque lievitato con costanza tra il 2008 e il 2022. E solo un terzo di essi è tornato in Italia, purtroppo. Un esodo spaventoso che «indebolisce la dotazione di capitale umano del nostro Paese, tradizionalmente afflitto da bassi livelli di istruzione», sentenzia Panetta. E non è un affare da poco visto «il ruolo decisivo» che gioca sul futuro proprio il capitale umano.

LA DOTE

Già, perché i giovani rappresentano anche le competenze da coltivare per correre al passo delle transizioni del secolo, da quella green, con al centro la trasformazione energetica, a quella digitale, che passa anche dalla svolta dell’Intelligenza artificiale. «Il ritardo rispetto a molti Paesi avanzati nelle competenze lavorative di giovani e adulti», avverte il Governatore, «si riflette in un’occupazione sbilanciata verso le professioni meno qualificate». Ma soprattutto: «Competenze e conoscenze, da nutrire e rivitalizzare lungo tutto l’arco della vita, sono il cardine non solo del progresso economico, ma anche e soprattutto di quello civile».

L’altra dote preziosa da sfruttare al meglio è poi quella del lavoro femminile, «in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è ancora al 52,5% e in cui è ancora difficile conciliare impegno lavorativo e carichi familiari». Decisi aumenti dei tassi di occupazione fino ai livelli medi dell’area dell’euro potrebbero per il Governatore «arrivare a controbilanciare gli effetti del calo demografico e mantenere invariato il numero degli occupati».

Fin qui il tesoro che il Paese sa esprimere e che va sfruttato appieno ancora prima di guardare all’aiuto che altri giovani, da altri Paesi, possono dare all’Italia. Panetta si riferisce al «possibile sostegno all’occupazione» che può arrivare da un flusso di immigrati regolari superiore a quello ipotizzato dall’Istat». È un’altra risorsa. A patto che questo flusso sia gestito «in coordinamento con gli altri paesi europei, bilanciando le esigenze della produzione con gli equilibri sociali e rafforzando le misure di integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro». Ma, attenzione, anche se l’Italia facesse i compiti al meglio, tra maggiore occupazione e maggiori flussi migratori, tutto questo non basterebbe a spingere il motore dell’economia. Il resto spetta alla produttività.

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