Immaginarselo chino sui libri, a sudare notte e giorno sulle carte europee, forse è un tantino esagerato. Eppure chi gli è più vicino fra i ministri del governo Meloni ne è sicuro e lo dice con un filo di tenera apprensione: «Sì, Raffaele studia, sta preparando gli esami..».
Studia davvero, Raffaele Fitto. È lui la carta che Giorgia Meloni vuole giocare al tavolo della prossima Commissione europea, il prescelto per entrare nella squadra di Ursula von der Leyen con i galloni italiani. Sicché il ministro agli Affari europei di Fratelli d’Italia, braccio destro della premier tra Roma e Bruxelles, ha iniziato a prepararsi. Sull’inglese si cimenta da tempo, l’ex governatore pugliese.
LA PREPARAZIONE
Mesi di lezioni per affinare l’unica lingua per parlare e capirsi con capi di Stato e di governo, commissari e funzionari pignoli del moloch burocratico europeo. Basta una virgola, un decimale di troppo ed eccoli puntare i piedi, rispondere picche, congelare pratiche di miliardi di euro, come le rate del Pnrr che l’Italia di tanto in tanto, fatti i compiti a casa, chiede di elargire.
Anche Fitto ad agosto — tra un break e l’altro in spiaggia nella sua Puglia, dove si sta già concedendo un po’ di riposo — farà i compiti a casa. Lo raccontano impegnato a sfogliare dossier, prepararsi al grande test, l’esame del Parlamento europeo per confermare i commissari nominati, atteso a inizio autunno. A Bruxelles lo chiamano “grilling”, la “grigliata”. Perché i poveri commissari wanna-be ogni cinque anni vengono “grigliati” dagli eurodeputati in agguato.
Tre ore di domande a raffica. Quindici minuti per presentarsi, poi via alle smitragliate degli onorevoli europei. Spesso pensate per mettere in difficoltà, tirare fuori scheletri dall’armadio. Antonio Tajani, che di Europa si intende da parecchio, ha confessato una volta di non aver mai studiato tanto quanto per l’esame da Commissario Ue, superato a pieni voti. Fitto lo sa e studia. Economia, finanza, il mercato unico europeo e le regole della concorrenza. Poi il Pnrr, i cavilli del Recovery, i fondi di coesione. Ma questo è un ripasso, perché da due anni il ministro di Maglie perde il sonno sui fondi europei.
La posta in gioco è alta. Meloni vuole per l’Italia un portafoglio economico, che conti e faccia la differenza. Ha impressi nella memoria, e lo confida ai suoi, i tempi del governo Berlusconi — allora era ministro dei Giovani — quando proprio sul terreno delle finanze Francia e Germania tesero uno sgambetto al Cavaliere chiudendo la sua epopea a Palazzo Chigi. Chissà che non risucceda, sussurrano sempre sospettosi e guardinghi dal cerchio meloniano. Nel dubbio meglio prepararsi ed entrare davvero nella cabina di regia europea, portare a casa un portafoglio pesante. Ci penserà la premier, entro la fine di agosto, a trattare con von der Leyen.
LE INSIDIE
Ma non finirà qui. Comunque vada, ci sarà un test ad attendere il suo “Raffaele”. E chissà che nell’aula di Strasburgo liberali, popolari e socialisti non colgano l’occasione per presentare il conto di quel voto contrario a Von der Leyen di Fratelli d’Italia (ammesso che davvero FdI abbia votato all’unanimità contro: più di un ministro sospetta che nel segreto dell’urna, qualche voto ad Ursula sia stato garantito).
Qualcuno è caduto vittima della “griglia” a Strasburgo. Memorabile il caso Buttiglione nel 2004. Era a un passo dalla nomina a commissario alla Giustizia. Un passaggio sull’omosessualità “come peccato” durante l’audizione diede il via all’impallinamento degli eurodeputati. Bocciato, due volte. Berlusconi, raggiunto dalla notizia a Palazzo Grazioli, perse le staffe: «Rozza propaganda di sinistra!». Poi chiamò Franco Frattini: «Tocca a te». E altri sono caduti, via via negli anni. Fitto, cuore Dc, dispensa serenità a chi gli chiede cosa succederà. «Aspetto che Giorgia decida, sono tranquillo». Nel dubbio, sotto l’ombrellone, si prepara.
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