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Diecimila accessi ogni ora. La raccolta firme per il referendum sulla cittadinanza ha mandato più volte in tilt la piattaforma online del Minstero della Giustizia a causa di una mobilitazione quasi senza precedenti. Oggi che le 500mila firme ci sono tutte e che il quesito è pronto ad essere passato al vaglio di Cassazione e Consulta, sembra evidente quanto la possibilità di sottoscrivere il referendum nella comodità della propria casa, con appena qualche click, sia stata fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo.
Col vecchio metodo, ovvero la firma al banchetto, di fronte a un notaio, un cancelliere o un segretario, probabilmente i promotori non ce l’avrebbero fatta ad arrivare al traguardo entro la data limite del 30 settembre.
Firme online, è tutta un’illusione?
Certo, a contribuire al successo del referendum sulla cittadinanza non è stata solo la possibilità di firmare online.
La spinta maggiore è arrivata dal tema stesso del quesito, evidentemente molto sentito, e dagli appelli di personaggi del mondo dello spettacolo come Ghali e Zerocalcare. In generale, da un’ondata social di condivisioni dell’iniziativa che ha funzionato come un miracoloso passaparola. Sul sito del Ministero c’è la possibilità di firmare per molti altri referendum che, però, non hanno ricevuto di certo la stessa attenzione. C’è quello contro la caccia, contro la sperimentazione sugli animali, per la modifica delle leggi elettorali, ma le sottoscrizioni in molti casi sono appena qualche migliaio.
Insomma, sembra chiaro che ai referendum per poter arrivare al quorum delle 500mila firme basti una solida base fatta di promozione e di passaparola sui social. Anche perché mezzo milione di persone resta una minoranza, una cifra non impossibile da mettere insieme, specie sul web. Un’evidenza che, fa osservare qualcuno, diventerebbe un problema qualora le iniziative promosse fossero discriminanti, volte a cancellare diritti piuttosto che a darne.
La firma online, è la riflessione, può essere paragonata a una firma lasciata ai banchetti? Può avere davvero lo stesso valore? La soluzione al dilemma potrebbe essere semplice: alzare l’asticella e portare il quorum a un milione di firme. In modo da assicurarsi pure che l’adesione non sia un segnale lanciato nel vuoto, ma che poi la gran parte di quelle persone esca e vada effettivamente a votare.
Anche perché il referendum abrogativo ha un quorum altissimo, del 50% dei votanti più uno. Trascinare una simile quantità di persone alle urne, specie in tempi di astensionismo selvaggio, è una sfida proibitiva, come dimostra il fallimento di molti referendum negli ultimi decenni. Motivo per cui molti suggeriscono di abbassare questa soglia alla metà dei votanti alle ultime elezioni più uno.
Se non si intervenisse nei dei due sensi, alzare il numero delle sottoscrizioni «in entrata» o abbassare il quorum necessario «in uscita» — una riforma che tra l’altro molti chiedono da anni e che trova il favore anche del presidente della Consulta Barbera — la possibilità di raccogliere le firme online rischia di trasformare i referendum o in plebisciti o in contenitori vuoti limitati all’inconsistenza del mondo online. Prospettive, entrambe, che metterebbero in crisi il senso ultimo di tali iniziative.
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