Un appello franco, senza «veli» perché così conviene «fra amici». A fuggire le tentazioni isolazioniste, in uno scacchiere internazionale che rischia ora di modellarsi a immagine e somiglianza di Donald Trump. Al secondo giorno della visita ufficiale a Pechino il Capo dello Stato Sergio Mattarella chiede alla Cina di fare la sua parte.
L’APPELLO
Nella guerra in Ucraina, perché «faccia uso della sua grande autorevolezza sul proscenio internazionale per ribadire la sua tradizionale posizione a sostegno delle norme di convivenza della comunità internazionale». Ma anche sui mercati internazionali, rompendo le «barriere» e gli «steccati» citati il giorno prima di fronte al presidente Xi Jinping. «Nessuno in Europa, men che meno l’Italia, immagina una stagione di protezionismo» mette in chiaro il presidente della Repubblica che ieri ha incontrato il primo ministro Li Qiang, auspicando il ritorno nei rapporti tra Cina ed Europa a «un’equa e corretta concorrenza» che porti ad «intese reciprocamente vantaggiose».
Università di Beida, Pechino. Mattarella, in visita di Stato insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani, tiene una lectio magistralis in uno dei più importanti atenei nella capitale, ventottomila gli studenti formati ogni anno in quelle aule. E in tanti si presentano ad ascoltare il presidente italiano. Che parte dai rapporti bilaterali fra Italia e Cina, la cooperazione in campo culturale nel segno di Marco Polo di cui si celebrano i 700 anni dalla nascita. Per arrivare a costruire insieme «un futuro di pace».
Prende di petto, Mattarella, la questione ucraina. Con parole decise sull’aggressione russa che infatti non riscuotono l’applauso unanime degli studenti cinesi. «La guerra distrugge ogni cosa», esordisce, «impedisce che ci siano vincitori». E ancora: «Non è pensabile che un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu violi come ha fatto la Federazione Russa invadendo l’Ucraina, norme fondamentali del diritto internazionale usando la forza contro un suo vicino più piccolo per imporgli la propria volontà. Accondiscendere a un tale comportamento significherebbe consegnare alla barbarie la comunità degli Stati».
Dunque l’invito rivolto al governo cinese perché eserciti un ruolo di vera mediazione — finora assente, anzi vanificato dallo schieramento a fianco di Mosca — perché cessi «la brutale aggressione russa all’indipendenza e alla integrità territoriale dell’Ucraina, primo passo per una pace giusta sulla base dei principi della Carta delle Nazioni Unite». Non meno utile può essere una vera discesa in campo della diplomazia cinese, nota Mattarella, per provare a spegnere la polveriera mediorientale e scongiurare una guerra a tutto campo tra Israele e Iran. Nella speranza che «la Cina vorrà aggiungere la sua voce affinché i diversi attori regionali esercitino moderazione e possa essere finalmente applicata una soluzione a due Stati tra Israele e Palestina».
I PATTI
Agenda fittissima nel secondo giorno della visita di Stato. L’incontro e la stretta di mano con il premier Li nel Salone del popolo e con il presidente dell’Assemblea nazionale del popolo cinese Zhao Leji. Poi all’università di Beida, l’inaugurazione di una cattedra di “Studi italiani” finanziata dalla fondazione Agnelli (tra i presenti John Elkann).
Il file rouge sono i rapporti bilaterali, da rilanciare in un mondo in subbuglio, scosso dal ritorno di Trump e del trumpismo sulla scena internazionale, con quel che ne consegue per il mercato e la cooperazione con la Cina.
Mattarella, si diceva, sceglie un registro schietto. Spiega ad esempio che i buoni uffici tra Roma e Pechino devono poter convivere con «qualche critica, ad esempio sui diritti umani, senza che queste siano considerate inferferenze». Ben vengano poi gli scambi, a patto che la Cina rimuova «le barriere che ostacolano l’accesso al mercato cinese di prodotti italiani di eccellenza». Patti chiari, “amicizia” lunga.
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