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FdI vuole votare subito il Cda, Forza Italia per la proroga


Sembrava esserci almeno un punto fermo nel bailamme della Rai. Quello del 12 settembre, con il voto alla Camera e al Senato dei 4 componenti di nomina parlamentare per il Cda del servizio pubblico. Ma adesso barcolla anche quella, già scritta nel calendario di Palazzo Madama ma non in quello di Montecitorio. Di fatto, Lega e Forza Italia fanno melina — se non c’è accordo nella maggioranza sul dg e neanche con le opposizioni sul presidente, inutile procedere — e il Pd e il resto della minoranza tantomeno spingono per il voto visto che vorrebbero una nuova governance televisiva solo una volta che sia stata fatta la nuova legge sulla Rai. E allora, il marasma pre-vacanziero tra il palazzo di Viale Mazzini e i palazzi della politica si sta riproponendo tale e quale in questa fase. Come se ne uscirà, visto che il Cda è scaduto da maggio, che Meloni non può dare prova di debolezza, che l’azienda ha bisogno di chiarezza e di piena operatività?

LE INSIDIE

Due opzioni, anzi tre, sono sul tappeto in questo stallo che rischia di durare a lungo. La prima è quella della forzatura, e stuzzica una parte di FdI (anche se Meloni ci va cauta). Questo lo schema: il 12 settembre il Parlamento vota comunque i 4 del Cda, assolvendo gli obblighi di legge secondo cui il consiglio va rinnovato. Il Mef indica i due componenti — quello che farà il dg e quello che farà il presidente — di scelta governativa. Il Cda ratifica l’ad e poi si va in Vigilanza Rai ad eleggere il presidente. Se quest’ultimo — si tratta in questa circostanza di Simona Agnes, vicina a Forza Italia — non ha i due terzi dei voti, compresi quindi quelli aggiuntivi di parte della minoranza, si va avanti lo stesso. E il presidente lo fa il più anziano dei consiglieri, visto che il dominus della Rai, secondo la legge in vigore, voluta a suo tempo da Renzi, è l’ad. Questo è uno scenario hard, su cui oltretutto grava come una spada di Damocle il pronunciamento del 23 ottobre del Tar che potrebbe approvare (ma i bookmakers dicono più no che sì) il ricorso che chiede un’altra modalità di elezione della governance televisiva.

Gli iper-meloniani avanzano questa opzione, ma Giorgia (che comunque non ne può più dello stallo) ne conosce tutte le insidie. Deciderà, oppure no, all’ultimo minuto, l’azzardo di procedere secondo questa linea e di far votare il 12 i magnifici quattro? Nel Pd (che guarda caso non ha ancora scelto il suo consigliere: spetta alla Schlein la quale pensa a tutt’altro e potrebbe anche rinunciare al proprio emissario a Viale Mazzini così le è più facile gridare contro TeleMeloni) si tende ad escludere il blitz. Matteo Salvini dice «non c’è nessuna fretta», il che significa che o gli danno il dg (Marco Cunsolo?) o altre compensazioni, nella guida delle direzioni di genere e dei tiggì («Ma la Lega ha già tantissimo», pare che abbia detto Meloni in questi giorni), per bilanciare la poltronissima di Giampaolo Rossi in quota FdI come ad, oppure si va avanti con la dirigenza attuale. Nella quale il leader leghista può contare su un ottimo rapporto con Roberto Sergio, al momento in modalità doppietta: è sia ad, sia presidente in quanto consigliere più anziano di tutti dopo la dimissioni di Mariella Soldi dalla presidenza.

E quanto a Forza Italia, anche lì la linea — in mancanza di un accordone dentro il centrodestra e con il centrosinistra per la figura del presidente, e questa seconda possibilità è impossibile — è quella della prorogatio della prorogatio, ossia dare ancora tempo a questo Cda, non votare il nuovo ed evitare così il rischio che Agnes venga silurata come presidente perché le opposizioni (non per un fatto personale, anzi è giustamente stimata, ma per un fatto politico) le negano i due voti mancanti per il traguardo. Le parole di Maurizio Gasparri, che gestisce la materia in casa forzista, sono chiarissime: «Se non c’è l’accordo globale, dentro la maggioranza ma anche con le opposizioni che gridano Aventino-Aventino! ma intanto hanno gran quantità di direttori e di conduttori Rai schierati a sinistra, si va avanti con il Cda che c’è, si prosegue con Sergio ad e Rossi dg». Nessuna procedura a tappe forzate, insomma. Lo stesso Tajani è indisponibilissimo a che si faccia il Cda senza che si arrivi subito alla presidenza ad Agnes: «Non esistono nomi alternativi e altre ipotesi, o lei o lei», questa la sua posizione.

IL ROCCOCÒ

E così, lo schema uno è quello della forzatura, lo schema due è quello della prorogatio in attesa della quadratura del cerchio. Ma attenzione. C’è un’idea che può farsi strada nel centrodestra, e sarebbe un problema politico nel caso per le opposizioni dire di no. Lo schema numero tre è questo: riformiamo la legge secondo le linee del Freedom Act Europe — ossia la Rai svincolata dai partiti — ma contemporaneamente nominiamo il consigliere che manca (al posto di Soldi) e facciamo restare l’attuale Cda in proroga e le opposizioni, dopo aver incassato politicamente il cambio della legge che chiedono con insistenza, potrebbero pensare di votare la Agnes. Si tratterebbe di una soluzione soddisfacente per Forza Italia (che incassa la Agnes), per la Lega (che avrebbe ancora Sergio ad) e magari per Meloni che dimostrerebbe di non avere TeleMeloni (ma a quel punto non scatterebbe la promozione di Rossi da dg ad ad e Giorgia e FdI se ne avrebbero a male). Insomma, se la politica italiana è barocca, la Rai — che ne è lo specchio o forse la culla — è roccocò e per questo diverte ma anche angoscia chi la deve maneggiare e non sa proprio come farlo.

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