È vero, in città non ci sono né Kamala Harris né Donald Trump. Lo è pure però che nella notte Giorgia Meloni ha ricevuto dalle mani di Elon Musk — alfiere del Tycoon — il Global citizenship award, proprio nelle ore in cui il candidato dem alla vicepresidenza Tim Walz presiedeva due raccolte fondi a New York. Quello della premier nella sua trasferta statunitense è un equilibrismo precario e prezioso dettato dalla necessità di non trovarsi in difficoltà qualunque sia il risultato sancito dalle urne del prossimo 5 novembre, evitando che una connotazione ideologica inevitabilmente più vicina al repubblicano Trump possa finire con il penalizzarla.
L’ATTENZIONE
Non è un caso insomma se fonti italiane precisano come la scelta di Musk come “padrino” della sua premiazione è stata presa «mesi e mesi fa» (prima dell’inizio della campagna elettorale Usa e prima del suo aperto attivismo pro-Trump), né che sottolineino come l’assenza della premier al tradizionale ricevimento organizzato oggi da Joe Biden nella Grande Mela per i leader mondiali accorsi al Palazzo di vetro sia dettata esclusivamente dal fatto che Meloni terrà il suo intervento alla Conferenza generale dell’Onu proprio nello stesso momento. Nessun riposizionamento in vista insomma, garantiscono. Nonostante non sfugga che ad un ulteriore intervento meloniano di oggi all’evento organizzato su input della Casa Bianca per riaffermare l’impegno nella lotta contro le droghe sintetiche faccia da contraltare un rientro in Italia che, nel pomeriggio americano di mercoledì, non attende la riunione organizzata da Biden per confermare il sostegno all’Ucraina (a meno di sorprese la premier parteciperà ai lavori in videocollegamento).
IL SOSTEGNO ALL’UCRAINA
Anche qui però, attorno a Meloni viene rigettata qualsivoglia connessione tra questa scelta e una posizione più critica assunta dall’Italia nei confronti degli ultimi passi compiuti dalle potenze occidentali nel sostegno all’offensiva di Volodymyr Zelensky in territorio russo diventata evidente con il voto della scorsa settimana a Bruxelles. «La nostra posizione non è cambiata» confermano fonti italiane ricordando che gli impegni presi dal nostro Paese passano nel completare l’invio del nono pacchetto di aiuti (manca all’appello una nuova batteria del sistema di difesa aereo Samp-T) e, come ribadito pure dal ministro degli Esteri Antonio Tajani in un summit presieduto ieri assieme ai Paesi del G7, nel rilanciare l’impegno a favore delle infrastrutture elettriche dell’Ucraina in vista dell’inverno.
Il legame con gli Stati Uniti – ne è convinta Meloni – è saldo a prescindere dall’amministrazione americana che approderà alla Casa Bianca. A testimoniarlo è l’aumento da 7 miliardi di euro delle esportazioni nostrane al dì là dell’oceano Atlantico registrate negli ultimi due anni, quando un democratico come Biden ha iniziato a lavorare con il centrodestra italiano.
GLI SCAMBI
Oggi gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale per l’export nostrano e nessuno a Palazzo Chigi ha alcuna intenzione di guastare o indebolire questo rapporto. Neanche se la tendenza isolazionista a stelle e strisce dovesse tornare a prevalere con un’eventuale vittoria di Donald Trump. Anche perché, questo il ragionamento della premier affidato ai suoi collaboratori, la crescita impetuosa della Cina e delle altre potenze asiatiche impongono agli Stati Uniti di tenersi stretti i propri partner più fidati. E l’Italia, comunque andrà, è uno di questi.
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