Notizie Nel Mondo - Notizie, affari, cultura Blog Fashion «Enrica Bonaccorti? L’ho amata, nella malattia non la lascio sola. Lucy Morante è la mia compagna di vita»
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«Enrica Bonaccorti? L’ho amata, nella malattia non la lascio sola. Lucy Morante è la mia compagna di vita»


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Da Patty Pravo (Nicoletta Strambelli) non riconosciuta all’ingresso del Piper perché «riapparve bionda platino, su una Rolls Royce bianca guidata da un nero in livrea, con due giganteschi cani al guinzaglio» a quella sera che con Roberto D’Agostino su una 500 sfondarono una vetrina in Corso Veneto. Roberto fu portato all’ospedale nel reparto maschile, lui, Renato Zero in quello femminile. Tutto vero: «Avevo una tutina attillata, i capelli neri lunghi, e sì, mi portarono nel reparto femminile, inseguito da Roberto che gridava:“C’è un errore! È un uomo! A’ Renatì, faje vedè er pisello!”».

L’amicizia con Loredana Bertè

Al Corriere della Sera, a Giovanna Cavalli e Aldo Cazzullo, «Renatino» racconta tutta la sua vita. Racconta, anzi conferma, che a New York ha rischiato di far salvare il matrimonio di Loredana Bertè con Roberto Berger per colpa di un litigio sull’Italia col padre. Racconta di quella sera che Loredana gli presentò Adriano Panatta: «Lei gli aveva detto: “Stasera ti faccio conoscere mio fratello”. Adriano quando mi vide mi guardò. Ero vestito appariscente, alla mia maniera: stivali, tuta, mantello. “Non sarà mica questo?”. E lei, entusiasta: “Sì, certo!”».

Quello con Loredana Bertè è sempre stato un rapporto particolare confessa Renato Zero al Corriere della Sera: «Loredana è una persona amabile, con una sua anima bella, ma a volte non è stata all’appuntamento con la generosità, con il rispetto. Abbiamo avuto dei contrasti e io mi sono allontanato. Ritenevo che la mia assenza le avrebbe giovato. Quando c’ero io, lei magari mandava a quel paese qualcuno e io intervenivo: “Non te le devi prendere, sai, lei ha questo carattere”. Insomma, la coprivo. Senza di me è cambiata da così a così, è diventata più gentile, paziente. Me ne prendo un po’ il merito».

Il papà poliziotto

Renato è cresciuto con papà Domenico. Un papà poliziotto che non ha mai ostacolato suo figlio. «Abitavo nella casa di una cooperativa di poliziotti. Erano 136. Un giorno mio padre mi sorprese con un fagotto. “Che hai lì dentro?”. “Nulla papà”. “Fammi vedere”. Con imbarazzo ho aperto il sacchetto. C’era qualche boa di piume, qualche tutina di lurex. Mi disse: “Non hai più bisogno di nasconderti, vestiti come vuoi, da domani esci così”». Non si è mai drogato («Avevo già questa energia forte in dotazione, non cercavo altro») ma la polizia faceva delle retate al Piper e Renato finiva in commissariato, in quello di suo padre: «“’N’artra vorta qua?”. Sotto i baffi si divertiva». Botte? Ne ha prese tante ma mai dalla polizia dice.

L’ammirazione per Ultimo

Poi la musica, i testi forti come «Mi vendo». «Starebbe bene oggi. Un mio difetto è che ho anticipato troppo i tempi. La spesa la facciamo tutti. Ognuno si porge e qualcuno deve acquisire di quella persona un determinato fabbisogno organico, sentimentale. Adesso con i social, con gli influencer, è tutto un vendere e acquistare». E il «Triangolo»: «Lo avevo considerato. Una volta è successo, ma ce n’era uno di troppo. Infatti canto: “Lui chi è?”. Allora il giudizio era meno severo, facevi esperienze a tuo rischio e pericolo e mettevi via».

La sua prima volta con un solo ammiratore al Folkstudio. «Il proprietario mi fa:“Lasciamo perdere,riproviamo domani”. Ma io avevo già salutato i miei. Era il 24 dicembre. Pensai: “A casa non ci torno”. E salii sul palco con la mia 12 corde. Antonello Venditti, forse commosso, si mise al pianoforte e cantò un pezzo anche lui». Per fortuna lo spettatore tornò la sera dopo portando venti persone: «Ho iniziato così». Renato Zero conferma il suo debole Ultimo. «Sua mamma Anna e lo zio Ciro li conobbi molto tempo prima. Quando abbiamo scoperto che questo ragazzo aveva da dire qualcosa in musica, per me è stata una soddisfazione come se fosse uno di famiglia». 

L’amore con Enrica Bonaccorti

Allo storico quotidiano di Via Solferino Renato Zero parla anche del suo amore con Enrica Bonaccorti. «Il nostro è stato un percorso meraviglioso, che non teneva conto solo di un’esigenza fisica, era uno scambio continuo di emozioni. Mi ha aiutato molto. Conobbe un mecenate, mi fece fare un disco, che ahimè non rese quello che costò. Il primo aveva venduto venti copie, tanti quanti erano i parenti. Questo qui me lo produsse Gianni Boncompagni. “Però ti devi trovare un nome. Fiacchini non va bene”. Risposi: “Fiacchini è fiacco, vale poco, vale zero”. “Ecco, ti chiamerai Renato Zero». Poi ancora: «Con Enrica non è mai finita, il rapporto si può trasformare, gli attribuisci una carica diversa, che non è solo quella dell’amante. Certe vicinanze non vanno perdute. Invece i maschi all’anagrafe non capiscono altri ruoli. Se non gliela dai, hai perso». E oggi nella malattia Renato non l’ha lasciata sola: «L’ho sentita. Tenace, meravigliosamente ostinata. Non ha intenzione di mollare».

La compagna Lucy Morante

Se dovesse fare un bilancio con l’amore, Renato lo giudica positivo: «Non ho mai preteso, solo dato. Sono stato in credito, non in debito. Il fatto di essere solo poi è relativo. Lucy Morante, che è stata la mia compagna da sempre, è ancora qui, gioca un ruolo importante. Ha vissuto con me la gavetta, vendeva i miei dischi durante i concerti. Donne come lei non ce ne sono quasi più. Ha sposato me e il mio personaggio. Ha condiviso il mio lavoro e le mie scelte. Non c’è bisogno del prete per suggellare questo tipo di rapporto».

Oggi gli manca Raffaella Carrà. «Organizzava tornei di burraco, tresette, scopone scientifico — ricorda al Corsera — Abbiamo fatto insieme una bellissima tv. Una volta mi mandò sulla Mole Antonelliana, io che soffro di vertigini. L’ascensore era sospeso nel nulla. “Quando torno a Roma ti faccio vedere i sorci verdi” le dissi».

La morte

Paura della morte? «Più perdi le persone care, meno temi la morte. Hai paura quando hai tutti qua. Quando se ne vanno genitori, nonni, tanti di quegli amici ai quali sei affezionato, cominci a pensare che devi andare di là, se vuoi recuperarli. Quando salgo sul palco, sento sempre la spinta dietro di tutti questi che mi dicono:“A’ Renatì, faje vedé chi sei”». E Renato pensa a «Mimì, Lucio Dalla, Claudio Villa. Tanti altri non famosi. Ogni tanto ai miei spettacoli leggo tutti i nomi di chi non c’è più ma che ha fatto tanto per la gente…».


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