da New York — «Dall’inizio del torneo, sono cresciuto nelle prestazioni, il pubblico italiano mi ha sostenuto tanto. Mi ha fatto sentire onorato e tranquillo». All’indomani della vittoria storica agli US Open, Jannik Sinner è rilassato. Finalmente allegro, dopo lunghe settimane di tensione, dettate non solo dall’importanza del Grande Slam, ma anche dall’inchiesta per doping che lo aveva coinvolto. Subito dopo la partita vinta in tre set contro l’americano Taylor Fritz, il campione altoatesino ha festeggiato come di consueto: un hamburger, patatine fritte e una coca cola. Nonostante la serata sia finita un po’ più tardi del solito, si è comunque alzato presto e alle dieci ha incontrato i giornalisti italiani in una stanza dell’esclusivo Baccarat Hotel, sulla 53esima strada, a Manhattan, dove ha soggiornato per tutto il periodo. Seduto a capotavola, ha risposto con la solita gentilezza a tutte le domande, con un paio di eccezioni: «Non voglio aggiungere nulla sul bacio (dato alla fidanzata, la tennista russa Anna Kalinskaya, a fine partita, ndr) e su mia zia (che non sta bene e a cui ha dedicato lo Slam vinto domenica). È una questione familiare».
Terminati per qualche giorno gli impegni sportivi, Sinner, il primo italiano nella storia del tennis maschile ad aver vinto gli US Open, si concederà un po’ di tempo per riposarsi. «A questo giro ci servono almeno tre o quattro giorni perché è stato un periodo difficile». Resterà probabilmente ancora a New York dove potrebbe avere degli impegni con lo sponsor Gucci in occasione della Fashion Week, ma conta però di essere domenica a Bologna per tifare gli azzurri contro l’Olanda per l’ultimo match dei gironi di Coppa Davis.
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Jannik, parlava del pubblico. Non sono state settimane facili quelle che hanno preceduto gli US Open. Aveva timore che i tifosi si sarebbero potuti dimostrare freddi nei tuoi confronti?
«Non sapevo davvero cosa aspettarmi, avevo dei dubbi. Invece hanno reagito in modo molto positivo. Ovviamente, giocando a New York, c’erano tantissimi americani venuti per Fritz, però il pubblico in generale è stato comunque onesto, bello per una partita così importante. E poi c’era tanta gente che faceva il tifo anche per me all’Arthur Ashe».
Li sentiva, li ha anche visti? Sugli spalti non mancavano le magliette arancioni in suo onore.
«Sì! Anche se sono sempre concentrato sulla partita, mi rendo conto dei piccoli dettagli. Mi ha aiutato molto poi sapere nella mia testa che, anche se negli spalti c’erano tanti americani, in Italia molte persone mi stavano guardando. Questa è la parte più bella».
Quest’anno con Alcaraz avete vinto due slam a testa. Una svolta dall’epoca dei «Big 3» (Djokovic, Federer e Nadal) che è durata tantissimo. Non possiamo ancora parlare di «Big 2», ma possiamo dire che è iniziata un’epoca in cui lei e lo spagnolo siete i leader?
«Dobbiamo ancora aspettare. Dopo una stagione sola è ancora molto difficile dirlo. Sono contento di far parte di questo «potenziale chissà cosa» (sorride). Non si può mai sapere cosa succederà, ci sono altri tennisti che stanno giocando molto bene. Inoltre, è vero che Roger si è ritirato, Rafael bisogna vedere invece come sta e Nole ha vinto quello che gli mancava e questo gli darà più fiducia per il futuro. Vedremo».
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È stata una stagione trionfale. Su sessanta partite, ne ha perse cinque, quattro non per colpa sua, stava male (in riferimento all’inchiesta per doping). Ci ripensa ogni tanto?
«Le partite che ho perso sicuramente potevo gestirle meglio. Se penso al periodo in cui è uscita la notizia che spiegava il mio malessere, i molti giorni in cui ho dormito poco o niente e la tensione, è stato difficile. Però sono cresciuto e credo che questo mi abbia aiutato poi a vincere molte partite. È per affrontare periodi come questi che è importante sia la programmazione che l’allenamento, imparare a gestire gli eventi anche fuori dal campo. È necessario un team che ti conosce, persone vicino che ti accettano come persona. Io non posso permettermi di cambiare, non voglio perdere la mia identità. Ho fatto tanti sacrifici per arrivare a questo punto e per restarci sono consapevole che ne serviranno ancora di più».
Lei crede nel destino o pensa che le cose capitino un po’ per caso? La brutta vicenda che le è successa che senso ha nella sua storia?
«Secondo me quando si è una brava persona, qualcosa di positivo e bello arriva, prima o poi. A volte, quando sono in macchina, in grandi città, come New York o Miami, mi chiedo cosa facciano nella vita le persone che vedo passare, cerco di immaginarmelo. Ci ragiono su queste cose, un po’ credo nel destino, sia quando è positivo, sia quando è negativo».
La dedica che ha fatto a sua zia, dopo la vittoria, l’aveva preparata o è arrivata spontanea?
«Mi è venuta sul momento, perché in quegli attimi realizzi quello che stai vivendo. Non sono uno che si prepara certi discorsi. Lo sentivo, mi sentivo di dire questo, perché è una parte importante della mia vita».
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