15.07.2025
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Economy

derubati da amici e nemici


Dopo il bastone, la mezza carota. «Siamo sempre aperti ai colloqui, inclusa l’Europa. E infatti stanno venendo per discutere». A due giorni dalla lettera con cui, a sorpresa, ha minacciato di applicare maxi-dazi del 30% su tutte le importazioni dall’Unione europea a partire dal 1° agosto, il presidente Usa Donald Trump è tornato, ieri, a insistere sulla tesi per cui «amici e nemici» si sarebbero approfittati di Washington, «derubando gli Usa nel commercio (e nell’esercito!) per decenni». Ma ha anche fatto allusione alle trattative commerciali tuttora in corso tra le due sponde dell’Atlantico. È la soluzione negoziale a cui continua a guardare, come piano A, pure Bruxelles. Dove, tuttavia, l’impossibilità di prevedere le prossime mosse del tycoon, ha avuto come effetto l’accelerazione dei preparativi di scenari e contromisure, in modo da averli pronti all’occorrenza. A cominciare dalla lista di controdazi su beni iconici americani (per 21 miliardi di euro di export Usa) congelata fino a inizio agosto e dal secondo pacchetto, non ancora formalmente adottato, dal valore aggiornato di 72 miliardi (in partenza erano 95, ma governi e aziende hanno ottenuto di depennare vari beni), che la Commissione ha inviato in queste ore alle capitali.

L’ANNO ZERO

L’Ue è consapevole che sovrattasse doganali al 30% vorrebbero dire, senza troppe cerimonie, l’anno zero degli scambi Ue-Usa: «Sarà quasi impossibile continuare come siamo abituati. Le catene di approvvigionamento transatlantiche ne risentirebbero pesantemente», ha ammesso il commissario al Commercio Maros Sefcovic, che nella serata di ieri è tornato a sentire i suoi due omologhi americani, Howard Lutnick e Jamieson Greer. «L’Ue non se ne va mai» dal tavolo dei negoziati «senza un vero sforzo, soprattutto considerando quanto fatto finora. Ma le cose si fanno in due», ha aggiunto Sefcovic al termine della riunione straordinaria dei ministri del Commercio, convinto che «vale ancora la pena proseguire» nel dialogo. «Altrimenti vorrebbe dire ammettere che abbiamo impiegato per nulla tre mesi per stilare un accordo di principio. Abbiamo analizzato 1700 linee tariffarie discutendo nel dettaglio di tutto, dall’agricoltura ai pezzi di ricambio per auto»; lavoro vano se «tutto dovesse concludersi a causa di una sola lettera, per quanto significativa». Certo, di fronte a quella che in molti considerano un’aggressiva tattica negoziale da parte di Trump, l’umore tra i governi è cambiato. E i falchi che vorrebbero vedere una Bruxelles più dura e assertiva, tra cui Francia, Svezia, Austria, Spagna e Portogallo, ieri sono tornati a mostrare gli artigli: «Non dev’esserci alcun tabù nella capacità di risposta Ue», ha insistito il ministro francese Laurent Saint-Martin, evocando conseguenze per i servizi digitali delle Big Tech e un impiego dello strumento anti-coercizione, il “bazooka” commerciale che limiterebbe investimenti e partecipazione agli appalti per le aziende americane nell’Ue. Accanto ai due pacchetti già esistenti, ne dovrebbe essere predisposto un terzo dedicato alla possibile rappresaglia contro le Big Tech, ha rilanciato l’austriaco Wolfgang Hattmannsdorfer. La minoranza, insomma, si fa sempre più rumorosa, convinta che, per ottenere la de-escalation, con Trump sia imprescindibile alzare i toni dello scontro. Ma l’assunto è quello condiviso da tutti i 27: dazi al 30% sono «inaccettabili e ingiustificabili», ha sintetizzato il ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen. Mentre stringe nuove intese di libero scambio in giro per il mondo — tema al centro della ministeriale -, per disinnescare la minaccia, la Commissione si muoverà passo dopo passo, seguendo la linea morbida finora patrocinata soprattutto dalle colombe Germania, Italia e Irlanda, i Paesi più esposti agli scambi con gli Usa, o dai Baltici, atlantisti per vocazione geografica. Quanto alle contromosse, «siamo aperti anche a valutare misure che vadano oltre le sole merci», ha detto uno dei funzionari più alti in grado della direzione generale Commercio, una sorta di ministero Ue, il vicedirettore Leopoldo Rubinacci, nel corso di un’audizione al Parlamento europeo, utilizzando una formula che tira in ballo servizi digitali e finanziari. Per l’italiano, i dazi colpiscono già «il 70% delle esportazioni Ue verso gli Stati Uniti, pari a 380 miliardi di euro»; ma «se l’amministrazione Trump dovesse estenderli ad aerei civili, farmaci, legname, minerali critici, rame e altri beni la quota delle esportazioni colpite salirebbe al 97%». Numeri da capogiro. Ma «due settimane di tempo, vista la situazione attuale con gli Usa, rappresentano un periodo significativo» per arrivare a un accordo, ha avvertito.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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