25.05.2025
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Economy

«Dall’Europa solo dogmi e regole»


L’Europa ha perso terreno prezioso. Ha sposato la globalizzazione a tutto campo, abbandonando di fatto l’industria, curandosi più di regole e dogmi, soprattutto sulla transizione energetica, che della competitività. A fronte invece degli investimenti massicci messi in campo da Stati Uniti e Cina. Loro l’industria l’hanno difesa e sviluppata. L’hanno lasciata crescere senza lacci. Ora «di fronte alla sfida della sicurezza globale — tra difesa, sicurezza energetica e alimentare, cybersecurity — nessuno può farcela da solo. L’errore è stato non capirlo prima», dice l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, dal palco del convegno organizzato da MoltoEconomia, l’inserto delle testate del gruppo Caltagirone Editore (Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino, Corriere Adriatico e Nuovo Quotidiano di Puglia), e dalla Luiss sul tema «Sovranità tecnologica, la grande sfida e l’estrema urgenza».

Le istituzioni «non possono perseverare nell’errore, devono ora avere coraggio e fare sistema» in un mondo in cui «la competizione è diventata continentale» e «non regge un modello di sovranità tecnologica nazionale». I numeri di crescita di Usa, Cina e India fanno la differenza. E allora non c’è più tempo. Il modello, da giocare in Europa, deve essere quello «dell’asse pubblico-privato» che ha fatto la fortuna della crescita del Pil Usa dal 2008 a oggi, mentre l’Ue è ferma. Per l’ad dell’Eni, Claudio Descalzi, «bisogna saper attirare i capitali». Ma come poteva crescere l’Europa, in cui non esiste un’entità unica, fa notare il manager, e in cui la politica ha dettato legge sulla tecnologia facendo scappare l’industria. Altro che sovranità tecnologica, «la tecnologia funziona se c’è un ritorno economico», invece non sono rimasti che «dogmi e regole» per le imprese Ue costrette a rimodulare gli investimenti. Un attacco diretto al Green deal varato da Bruxelles per ridurre le emissioni. Va bene l’elettrificazione, ma «non possiamo fare tabula rasa e con una tecnologia sostituire tutto» per Descalzi. 

A raccontare l’abisso scavato in anni e anni di «superficialità e scelte precise dell’Ue», per dirla con le parole di Descalzi, ci sono i numeri snocciolati da Cingolani per fotografare le spese nel cosiddetto “procurement”, cioè gli acquisti medi nella difesa. Nel 2023 l’Europa ha puntato 110 miliardi di euro su una trentina di piattaforme, tra aerei, navi e carri armati. Ogni Stato vuole avere il suo. Negli Stati Uniti la stessa è arrivata a 250 miliardi di dollari. «È chiaro», insiste Cingolani, «che chiunque per difendersi continua a comprare aerei dagli americani». Eppure abbiamo una poderosa industria della difesa, ma ragiona per nazione.

Stesso discorso per l’aerospazio. Vincono anche qui i lanciatori Usa, con il loro «asse pubblico-privato», e «gli uomini-Stato ricchi quanto il Pil della Grecia». In particolare l’Italia «ha inventato delle tecnologie e poi si è fatta soffiare il mercato». Chi ha resistito come per esempio l’Eni, e ha investito, è un global player. Anche Leonardo ha fatto la sua parte: «Ora parliamo con i partner per un modello Ue per la sicurezza globale, il futuro». Il ruolo dell’Intelligenza artificiale? «È uno dei tanti strumenti che utilizzeremo per fare questo. Pensiamo intanto a rendere la società più digitale, a partire dalle scuole, e rendere i cittadini consapevoli di ciò che si può fare con lo strumento digitale». «Ricordiamoci», ha ricalcato da parte sua Descalzi, «che l’IA è uno strumento come tutto il resto, non ci riscaldi una casa, non ci fai da mangiare».

L’amministratore delegato dell’Eni si è soffermato soprattutto sulle scelte dell’Europa, che negli ultimi 20-30 anni ha deciso di «buttarsi» sul terziario, oggi il 70% del prodotto interno lordo, penalizzando l’industria. «Abbiamo ridotto le nostre emissioni ma abbiamo esportato l’industria e, a prodotto interno lordo costante, quindi ci siamo impoveriti», sottolinea. «L’industria dobbiamo proteggerla e non criminalizzarla», è il messaggio. All’incontro sono intervenuti anche Marco Duso, di Ey Italia, che si è concentrato sulla necessità di coniugare sostenibilità e competitività, e Fabio Maria Montagnino, presidente dell’associazione Climate-Kic, che ha posto l’accento sull’esigenza di puntare di più sulle materie prime critiche.
 

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