Lo chiamavano il rettore di Thorsby non solo per la sua eleganza ma anche per la grande capacità di trasmettere le sue idee tecniche e tattiche ai giocatori. Una specie di maestro, mai dietro alla cattedra con il piglio del dittatore ma sempre disposto a spiegare e a spiegarsi: Sven Goran Eriksson, scomparso qualche mese dopo la scoperta di una malattia incurabile, è stato anche una sorta di “padrino” di tanti allenatori che oggi vanno di moda e vincono, in Italia, in Europa e… in Arabia, dove Roberto Mancini ha ricordato lo svedese con pensieri dolcissimi. Basta ritornare alla Lazio che vinse lo scudetto del Duemila per capire quanto Eriksson sia stato bravo a trasmettere i suoi pensieri agli allievi che avrebbero percorso la sua stessa strada e che gli avrebbero dedicato, una decina di anni dopo, anche i primi successi. Su due giocatori non c’erano proprio dubbi: Sinisa Mihajlovic, anche lui scomparso nel dicembre del 2022 per una brutta malattia, e a Roberto Mancini, che già in campo si comportavano da allenatori. Se l’ex numero dieci rappresentava una guida tattica nel corso delle partite, il serbo era l’anima dello spogliatoio, l’uomo di carattere, pronto anche a darti un calcio nel sedere per darti una bella svegliata.
IL RETTORE E GLI ALLIEVI
Giocavano per Sven già nella Samp e il rettore di Thorsby li impose a Cragnotti, come fece con l’argentino Veron, poi diventato un importante dirigente del calcio argentino. «Mi prenda Sinisa, Roberto e l’argentino e io le porto subito lo scudetto» disse Eriksson nel primo incontro con il presidente della Lazio. Mancini diventò anche il vice del tecnico svedese subito dopo l’annuncio dell’addio al calcio giocato: un ruolo occupato fino al gennaio successivo alla vittoria in campionato. Quando Eriksson decise di andare in Inghilterra, Mancini si mise in proprio, lasciò l’incarico che ricopriva nel club biancoceleste e andò a Firenze, al posto di Terim, conquistando subito la Coppa Italia. Il percorso di Sinisa, cresciuto proprio all’ombra di Svennis, iniziò come collaboratore di Mancini e proseguì successivamente proprio a Bologna, Catania, Firenze, Milano,Torino e ancora Bologna, tappe di una carriera che non avrebbe avuto limiti. Se i due “gemelli” doriani riconobbero i meriti di Eriksson nella loro crescita, altrettanto ha fatto Simone Inzaghi, che della Lazio era il centravanti di scorta diventato titolare a suon di gol: aveva poco più di vent’anni quando arrivò a Formello e proprio martedì ha ricordato in un post social l’importanza di Sven. «Eriksson per me è stato fondamentale per la crescita come calciatore e come uomo, non potrò mai dimenticarlo» ha detto il tecnico della seconda stella nerazzurra. Con l’Inter era arrivato alla finale di Champions, persa contro il City, e Sven ci aveva confessato la sorpresa di tanta bravura. «All’epoca in cui giocava, non avrei mai scommesso su di lui come allenatore, è stato bravo e ha dimostrato di essere preparato» ci disse lo svedese che con curiosità seguiva i suoi vecchi discepoli anche da lontano.
Ma la lista degli uomini vincenti non si esaurisce certo in questo piccolo orticello: se Pancaro ancora si batte nelle categorie inferiori alla ricerca della consacrazione, se Lombardo ha scelto una carriera da vice accanto a Mancini, ci sono Simeone, Almeyda, Conceicao in cima alla lista degli allenatori cresciuti con Eriksson, oltre a Nesta, il suo capitano, appena sbarcato in A dopo lunga gavetta. Diego è stato l’uomo scudetto, il giocatore capace di segnare l’1-0 in casa della Juve decidendo la rincorsa della Lazio: l’anima della squadra a cui Sven non rinunciò mai nel girone di ritorno. Simeone, nella Liga, ha scelto un gioco più aggressivo e meno elegante rispetto a quello di Eriksson ma ne ha ereditato la capacità di gestire i campioni, che nell’Atletico sono tanti. Conceicao ha vinto tre scudetti, quattro coppe del Portogallo e tre Supercoppe sulla panchina del Porto e adesso attende di realizzare il sogno di allenare in Italia, forse la stessa Lazio, proprio come Almeyda, uno scudetto in Grecia con l’Aek dopo quello in Messico con i Chivas di Guadalajara. Non è stato fortunato come loro Dejan Stankovic, che tra alti e bassi è sbarcato a Mosca in cerca di fortuna ma sempre nel segno dell’indimenticabile Sven.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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