Quello che è accaduto in Mediobanca lo si potrebbe definire come la rivincita degli azionisti. Il tema, va detto, non è nuovo. Anzi, da decenni è molto dibattuto. Già John Kenneth Galbraith nella sua «Storia dell’economia» affrontò il dualismo tra manager e azionisti sostenendo che, nelle grandi imprese moderne, il potere è passato dagli imprenditori e dagli azionisti ai manager, ovvero alla cosiddetta «tecnostruttura», un gruppo professionale che di fatto governa le aziende e prende le decisioni strategiche fondamentali, spesso senza un vero controllo da parte degli azionisti.
Certo, Galbraith aveva davanti agli occhi soprattutto il modello americano, di società ad azionariato diffuso, le public company, con un capitale frazionato in tantissimi soci dove quelli con partecipazioni più sostanziose erano e sono di consueto fondi di investimento passivi che votano qualsiasi cosa il management proponga senza una vera analisi critica. In America dove l’azionariato è diffuso, il board svolge un ruolo di supplenza. In Mediobanca i manager hanno perpetrato il loro ruolo e il loro potere a scapito di azionisti industriali con pacchetti di rilievo e stabili nel tempo.
ALBERTO NAGEL
Chissà cosa avrebbe detto l’economista americano di una banca d’affari con grandi soci nel suo azionariato ma con un management, rappresentato per ben diciotto anni di fila da un uomo solo al comando: Alberto Nagel. Una guida di fatto autoreferenziale e che non ha mai voluto cedere un millimetro del suo potere, non lasciando agli azionisti nemmeno la presidenza della banca affidata da sempre all’altro delfino di Vincenzo Maranghi, Renato Pagliaro. Nessuna delle istanze portate dagli azionisti per anni ha trovato ascolto nel management di Piazzetta Cuccia. La convinzione è stata di non dover rispondere mai a nessuno, se non al mercato inteso come entità astratta. Una visione perpetrata da Nagel fino alla fine, con l’estremo tentativo di resistenza con il lancio di un’offerta di scambio con Banca Generali, prima annunciata, poi rimandata, poi anticipata.
IL PASSAGGIO
Ma a questa anomala autocrazia societaria l’offerta pubblica del Monte dei Paschi di Siena ha messo fine. Insomma una picconata al sistema autoreferenziale di governo societario che da tempo tenta di affermarsi in importanti gruppi italiani quotati, e che segna il ritorno a principi di democrazia e tutela degli azionisi. Una autocrazia societaria che, prima della sua regolazione per legge, aveva portato i manager a pensare di potersi blindare nei propri fortini attraverso le cosiddette “liste del cda”. Vertici delle aziende che rinnovano se stessi a prescindere dal volere degli azionisti. Un tentativo di emendare quella che pure era una delle regole basilari del fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia. il suo famoso “articolo quinto”. Quello per cui chi ci mette i soldi di tasca propria ha diritto ad incidere sulle scelte strategiche e non soltanto ad assistere da una poltrona, seppure di prima fila, alle decisioni prese dal management. Aderendo all’offerta lanciata dal Monte dei Paschi di Siena, gli azionisti di Mediobanca hanno riconquistato la propria sovranità.
E val la pena sottolineare che l’operazione ha avuto successo non solo perché hanno conferito le azioni i soci storicamente più critici con l’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, come la Delfin della famiglia del Vecchio e il Gruppo Caltagirone. Ma perché quell’offerta ha ricevuto il gradimento di gran parte dei soci di Mediobanca: dalle casse di previdenza, fino ai fondi di investimento, passando per soci che storicamente sono stati al fianco del management, come la famiglia Doris. È come se il Monte dei Paschi avesse “liberato” l’azionariato di Piazzetta Cuccia dalle catene che per anni lo hanno tenuto legato, aprendo le porte ad una storia nuova, una ventata di aria fresca in grado di rinnovare e innovare. La sfida del Monte dei Paschi sarà quella di convogliare tutte le energie di Mediobanca verso nuovi obiettivi di crescita e di sviluppo. E questo nonostante le ultime “pillole avvelenate” lasciate dal precedente management, come la possibilità data ai banker di Piazzetta Cuccia di poter liquidare immediatamente i propri bonus in azioni. Il più classico dei “muoia Sansone con tutti i filistei”. Ma ci vorrebbe un Sansone che, alla prova dei fatti, nella difesa della vecchia Mediobanca non si è palesato.
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