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«Così anche in carcere si può generare la bellezza»


«Un simbolo potente di connessione tra il dentro e il fuori, tra chi oggi è recluso e una società che può — e deve — tornare a guardare». Così, ieri mattina, l’ex ministra della Giustizia Paola Severino, ha definito l’installazione permanente Benu di Eugenio Tibaldi, entrata, proprio grazie alla Fondazione Severino — di cui l’ex ministra è presidente — e alla Fondazione Pastificio Cerere, con Intensa Sanpaolo, nel patrimonio della Casa circondariale femminile di Rebibbia “Germana Stefanini” e visibile, appunto, anche dall’esterno. Un messaggio reso ancora più potente e di impatto dall’inaugurazione dell’opera alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «La sua presenza ci onora e rappresenta un segnale forte di attenzione verso le persone detenute e verso un’idea di giustizia che non smette di credere nella possibilità di rinascere», ha rimarcato Severino, ringraziando il presidente.

LA FILOSOFIA

Benu è l’emblema di una precisa visione del carcere. Di più, una chiara filosofia di giustizia. «Qualche anno fa con la Fondazione Severino, siamo entrati in carcere per avviare progetti di formazione professionalizzante, convinti che il lavoro fosse una leva essenziale per il reinserimento. E ne siamo ancora profondamente convinti — ha commentato Severino — Ma frequentando più da vicino la realtà carceraria, abbiamo capito quanto fosse importante creare anche spazi di libertà interiore: luoghi in cui potersi esprimere, riconoscere, immaginare diversi». Da qui l’idea di fare laboratori creativi, nei quali offrire alle detenute nuove strumenti per ripensarsi, indagarsi, esprimersi. «All’inizio non immaginavamo che l’arte potesse diventare uno degli strumenti più potenti di trasformazione. E invece oggi possiamo dirlo con forza: i laboratori artistici e culturali sono spazi di libertà autentica, in cui si coltivano relazioni, consapevolezza, identità». Momenti di espressione, di presa di coscienza, di rielaborazione del vissuto e soprattutto di ridefinizione di un percorso. «L’arte, in carcere, non è una distrazione. È una forma di resistenza. Di riscatto. Di rinascita. Benu nasce da tutto questo: dall’ascolto, dal confronto, dalla fiducia costruita tra l’artista e le detenute. Due fenici che portano i segni, le parole, le emozioni di chi le ha immaginate». Tibaldi ha invitato le detenute a disegnare il loro mondo interiore e dai loro lavori sono nati gli elementi che compongono la fenice. Assemblando più simboli, l’artista ha creato un’immagine condivisa, in cui ogni partecipante può riconoscere il proprio percorso personale, ma che, nello stesso tempo, rappresenta tutte, anche come comunità. E va oltre. «Benu è molto più di un’opera d’arte: è il risultato di un percorso condiviso, umano e simbolico. È la dimostrazione concreta che anche all’interno del carcere si può generare bellezza, dialogo, fiducia».

L’installazione è nata come “ponte”, connessione tra il mondo dentro e quello fuori, all’insegna della speranza. È quello il messaggio che veicolano le sculture luminose, visibili anche da lontano, nel buio della notte, sia dalle stanze delle detenute, sia dai palazzi vicini. «Una luce che non viene calata dall’alto, ma che si accende ogni giorno dall’interno». E per questo, idealmente, ancora più potente. «Questa iniziativa ci ricorda anche l’urgenza di guardare alla detenzione femminile con uno sguardo specifico, consapevole, attento. Le donne in carcere spesso portano con sé un carico sproporzionato di ferite: violenze, coercizioni, dipendenze, storie di marginalità. Spesso, il reato è solo l’epilogo di una lunga storia di mancanze», ha rimarcato Severino. «Progetti come questo servono a restituire voce, dignità, fiducia. A dare strumenti per ricominciare».

LA LUCE

Le detenute, dunque, con la forza della loro speranza, illumineranno anche il mondo esterno. «Saranno proprio le donne di Rebibbia ad accenderle, ogni sera, con la forza delle loro pedalate», ha ribadito, a proposito delle fenici. «Un gesto semplice, ma profondamente simbolico che testimonia come la luce possa accendersi nascere anche qui. Anche adesso. Anche da dentro».


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