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Atreju acclama i divi tv, alla festa di FdI Conti, Greggio, Liorni e Venier. «Noi nazional-popolari e ne siamo orgogliosi»


ROMA C’era una volta il politico che andava in televisione. Quello c’è ancora, eccome, anche se è sempre più attratto dai social. Ora, al contrario rispetto alla tradizione codificata e incrementata dall’invenzione berlusconiana della videocrazia, ci sono il divo tivvù, la celebrity del piccolo e grande schermo, le regine e i reginetti da prima serata e da pomeriggio italiano, che vanno nel palinsesto della politica. Entrano nel format allestito dai partiti (per il momento solo Atreju ma altri imiteranno, e ieri c’è stata l’apoteosi di questa svolta: con lo show di Carlo Conti, Mara Venier, Ezio Greggio e Marco Liorni) e consentono alla politica di prendere esempio dagli show massificati riprendendone i soggetti e i contenuti. Che ribaltamento!

I FAB FOUR

Quelli che andavano ospiti in tivvù, ora ospitano la tivvù. E si identificano perfettamente con essa. Per esempio — e qui è scattato l’applauso più significativo — assumendo il concetto di nazional-popolare contro la cultura politicamente corretta. In questo derby, le quattro star sul palco e l’intero popolo di Atreju, si sono schierate fortemente con la squadra numero uno. Mara Venier: «Pippo Baudo si offese tremendamente, e per un po’ lasciò la Rai quando il capo azienda, il socialista Manca, lo definì nazional-popolare. Questa per me non è un’ingiuria, è una medaglia: io sono orogogliosissimamente nazional-popolare». Ovazione in sala. La politica che vuole stare nella gente prende lezioni dalla tivvù che, ma sempre meno, tra la gente ci sta. E Arianna Meloni è in prima fila ad ascoltare, spesso sorridendo, sempre annuendo, i fab four Conti-Venier-Liorni-Greggio.

Farsi politicamente Italia nazional-popolare diventa l’obiettivo strategico del partito meloniano che cerca di andare oltre se stesso. E i simboli di quel tipo di Italia larga e profonda, e forse eterna, appena vengono nominati partono gli applausi tra palco e platea. Ecco l’omaggio a Peppe Vessicchio, il maestro d’orchestra di Sanremo e tanto altro, e scatta la standing ovation. Che fa felice, sul palco il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi che è stato per la Rai produttore di Sanremo, imprenditore di musica e spettacolo (all’arena di Verona), promoter degli show di Adriano Celentano. E ora, nel firmamento del potere meloniano, guarda caso è nel primissimo cerchio. Mara nomina Arbore: ovazione. Conti ricorda Baudo: ovazione. E quando tutti parlano di Mike, «che ha unito l’Italia più di Garibaldi», il pubblico approva felicemente.

Umberto Eco parlava, nel suo saggio su la «Fenomenologia di Mike», di Bongiorno come il nazional-popolare per eccellenza, come l’italiano alla portata di tutti, simile a tutti gli altri e che aveva il suo habitat in tivvù. Ora invece Carlo Conti, sanremese ma non solo, è l’everyman anche sul palco di un partito. E quando dice che «gli immigrati, incontrandomi per strada, mi ringraziano: ci ha insegnato a parlare l’italiano», Mara aggiunge: «Sei come il maestro Manzi». Conti («Su Sanremo per ora poche polemiche, sono preoccupato») è il Manzi che insegna alla politica come si parla alla gente sempre più sfiduciata? Osserva Arianna: «Questi grandi professionisti che hanno accettato di venire alla nostra festa rappresentano l’Italia reale e nell’Italia reale ci siamo anche noi». In questa Italia accade — a proposito di ospitate dei personaggi pop nella politica anche quella istituzionale — che l’ex pugile e youtuber Simone Ruzzi alias Er Cicalone sia stato chiamato in audizione parlamentare, per sapere da lui come si difende la sicurezza delle persone in periferia. Idem con Stefano De Martino, che da Affari Tuoi ha traslocato alla Commissione Femminicidi della Camera, per discutere di revenge porn.E ancora: proprio Arianna, oggi, insieme a Raoul Bova, parteciperà all’incontro su deepfake e sui ricatti di cui l’attore è stato vittima. E c’è grande aspettativa per questo dibattito, oltre che per quelli con Buffon e con Ilaria D’Amico. Intanto Mara (vestita di nero e un dirigente di FdI osserva affettuosamente: «Ma non lo sa che noi il nero lo abbiamo abolito e siamo ormai di tutti i colori?») ha portato Domenica In in questa kermesse, e per l’occasione riunisce televisione e politica fino a farle diventare tra loro indistinguibili. Si lamentano i divi che il politicamente corretto sta distruggendo lo spettacolo, esattamente come si lamentano quelli di Fdi che il politicamente corretto sta distruggendo tutto. Conti: «Io non posso più imitare a Tale e Quale i cantanti di colore perché una direttiva europea sostiene che è razzismo. E lo dico io, che sono di colore». Così scherza il presentatore e Greggio prende la palla al balzo: «Carlo tu sei stato il primo conduttore di colore di Sanremo». Venier si fa seria: «Il politicamente corretto è troppo asfissiante. Certi programmi sul sesso che si facevano una volta adesso sono impensabili. Guai a offendere qualcuno o a non rispettare qualcosa, però troppe regole e regolette non servono». Politicamente corretto e cultura woke che si sono prese la tivvù e la politica trovano insomma ad Atreju una massa critica e una critica massmediologica.


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