Pochi giorni e si aprono i seggi in tutta Italia per i referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza. Gli elettori saranno chiamati a decidere se mantenere o abolire le norme attualmente in vigore. Il vero ago della bilancia sarà il quorum: se non voterà almeno il 50% + 1 degli aventi diritto, la consultazione non sarà valida. Le posizioni politiche sono frammentate. La maggioranza è compatta nel promuovere l’astensione, mentre le opposizioni sono divise. Il Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle sostengono i referendum promossi dalla Cgil, ma +Europa, Azione e Italia Viva si discostano su alcuni punti. Solo il quesito sulla cittadinanza raccoglie una convergenza più ampia: Pd, Avs, +Europa, Italia Viva e Azione sono favorevoli alla modifica, mentre il Movimento 5 Stelle lascia libertà di voto. Il quesito propone di dimezzare da dieci a cinque anni il requisito di residenza per richiedere la cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri, mantenendo gli altri criteri come reddito e conoscenza della lingua.
Gli scenari possibili sono tre. Il primo è che prevalga l’astensione e il referendum venga invalidato per mancato raggiungimento del quorum. Il secondo è che passi solo il quesito sulla cittadinanza, data la convergenza più ampia, mentre gli altri non raggiungano il quorum o vengano respinti. Il terzo, è che vengano approvati tutti e cinque i quesiti.
Cosa succederebbe se vincesse il sì?
Qualora vincesse il sì sul primo quesito verrebbe abrogato il Jobs Act, riforma introdotta con il governo Renzi. Si tornerebbe alla disciplina precedente, sì all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ma con le modifiche introdotte con l’entrata in vigore della riforma Monti Fornero, ovvero la possibilità di reintrodurre il lavoratore in azienda in caso di licenziamento illegittimo, ma usufruendo anche di un indennizzo economico, inferiore rispetto a quello percepito con il Jobs Act.
Un altro quesito riguarda i licenziamenti nelle piccole imprese: attualmente l’indennizzo massimo è di sei mensilità, ma con la vittoria del sì verrebbe eliminato il tetto massimo.
I promotori del referendum propongono l’abolizione di tale norma al fine di far sì che il giudice abbia piena discrezionalità nel determinare l’ammontare del risarcimento.
C’è poi la questione dei contratti a termine: si propone di reintrodurre l’obbligo della causale anche per quelli inferiori a 12 mesi. In caso di vittoria del sì, sarà necessario indicare il motivo del contratto breve; con il no, resterà in vigore la normativa attuale, che prevede causali solo oltre i 12 mesi, con alcune eccezioni in vigore fino a fine anno. Infine, l’ultimo quesito sul lavoro mira a estendere la responsabilità delle aziende committenti in caso di infortuni e morti sul lavoro nei cantieri. Attualmente la responsabilità è solo dell’azienda esecutrice, con il sì, sarebbe condivisa anche con chi ha affidato l’appalto. Secondo la Cgil, promotrice dei quattro quesiti accanto al Pd, questi referendum mirano a rafforzare le tutele contro i licenziamenti illegittimi e a migliorare la sicurezza sul lavoro. Quanto alla cittadinanza, se dovesse vincere il sì, verrebbe dimezzato il tempo di residenza per le persone che vivono stabilmente in Italia, rendendolo più accessibile e vicino agli standard europei.
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