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«Convertire le fabbriche d’auto in armamenti non fa bene all’economia italiana»


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I vescovi italiani per bocca del presidente, il cardinale Matteo Zuppi, scendono in campo contro l’ipotesi al vaglio del governo Meloni relativo a una eventuale riconversione delle fabbriche di auto (in sofferenza) in armamenti. Un’idea presa in considerazione alcuni mesi fa da Palazzo Chigi e di cui se ne era parlato sollevando subito un gran polverone, dopo che il Parlamento europeo aveva approvato il piano ReArm Europe. «Non possiamo non ribadire che la produzione industriale che vuole riconvertire in armi alcune delle aziende in crisi non fa bene né alla nostra economia né al mondo» ha ammonito il presidente della Cei Zuppi introducendo stamattina il Consiglio episcopale permanente straordinario.

La questione della riconversione si sta ponendo in tutti i Paesi europei.

In Germania, ha scritto alcune settimane fa il Financial Times, ha raccontato che dopo tre generazioni nella città di Gortlitz dove ha sede una grande azienda che produce vagoni ferroviari a partire dal prossimo anno inizierà a produrre componenti per i carri armati Leopard II e di veicoli da combattimento di fanteria Puma. n destino che riguarda anche altre aziende in Francia e che potrebbe riguardare anche l’Italia dove la filiera della componentistica automobilistica è in forte sofferenza. Tutto è da decidere, intanto dalla Cei è arrivato un messaggio forte e chiaro rivolto al governo.

E’ il passaggio più forte della prolusione del cardinale Zuppi, allargato alle grandi questioni del momento sulla pace, iniziando da Gaza. «Chiediamo il rispetto del diritto internazionale umanitario, l’ingresso di aiuti senza restrizioni, l’apertura di corridoi umanitari e, soprattutto, la promozione di un dialogo che possa realizzare la soluzione “due popoli, due Stati” ha detto Zuppi facendo sue le parole di Papa Leone XIV pronunciate mercoledì scorso, al termine dell’udienza generale: «È sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella Striscia di Gaza. Rinnovo il mio appello accorato a consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone malate».

Infine un passaggio è arrivato anche per l’Ucraina «nell’auspicio che i fili del dialogo, già così difficili, siano rafforzati, trovino le garanzie necessarie inserite in un quadro che permetta una pace giusta e sicura». La parola pace nella prolusione di Zuppi appare in continuazione, a sottolineare che «il cristiano è un artigiano di pace, che dal suo cuore trae la forza di una pace disarmata e disarmante».

«Ci aiutano due intense memorie storiche, tra loro correlate: l’ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e il 75esimo della Dichiarazione Schuman (9 maggio 1950), con la quale i padri fondatori dell’Europa avviarono il processo di pacificazione post-bellica e di integrazione comunitaria con l’obiettivo, esplicito, di riportare la pace nel continente e nel mondo intero». La Cei ripete da tempo che occorre fare di tutto per rafforzare le organizzazioni internazionali sempre più indebolite da visioni parziali. 

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