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conto alla rovescia per l’adeguamento al Media Freedom Act, regolamento Ue


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Stallo, scontri e proposte di legge: cosa succede in Rai.
Mentre in commissione di Vigilanza Rai tutto è fermo da mesi, lo stallo sulla nomina della presidente, con la maggioranza che resta irremovibile sul nome di Simona Agnes, blocca i lavori. Intanto, però, qualcosa si muove altrove. In commissione Lavori pubblici del Senato prosegue il percorso di riforma della governance del servizio pubblico. Ai sette ddl già depositati se n’è aggiunto uno nuovo, firmato da tre esponenti di Forza Italia, Maurizio Gasparri, Roberto Rosso e Adriano Paroli. Ma non sarà l’ultimo: un’altra proposta, questa volta targata Fratelli d’Italia è attesa per la prossima settimana.  L’obiettivo è arrivare a un testo unico condiviso che ridisegni le regole della Rai. 
Un’urgenza che non nasce solo dal caos interno, ma anche da Bruxelles. Restano pochi mesi alla maggioranza per adeguare la normativa italiana al Media Freedom Act, il regolamento europeo entrato in vigore nel 2024 e pensato per garantire indipendenza, trasparenza e pluralismo dei media pubblici. Se l’Italia non dovesse mettersi in regola entro agosto di quest’anno, scatteranno le sanzioni. Il regolamento europeo impone principi chiari vincolanti per tutti gli Stati membri: le nomine ai vertici dei media pubblici devono avvenire con criteri trasparenti e non discriminatori, i dirigenti devono avere un mandato stabile, autonomo dalla politica e deve essere garantito il diritto dei cittadini ad accedere a contenuti pluralisti e indipendenti, con attenzione particolare al giornalismo investigativo. Nei mesi scorsi le opposizioni, Pd, M5S, Avs, Iv, Azione e +Europa avevano già chiesto al governo di intervenire con urgenza per applicare pienamente il Media Fredoom Act, superare la paralisi in commissione di Vigilanza e tutelare il ruolo e la funzione del servizio pubblico. “In Italia, hanno dichiarato, le criticità che si registrano nella governance della Rai, così come l’approccio ostile del governo verso alcuni format e trasmissioni del servizio pubblico, evidenziano la necessità di una rapida applicazione delle misure contenute nell’Emfa, proprio a garanzia della funzione del servizio pubblico e del pluralismo, nonché a tutela del giornalismo d’inchiesta. L’attuale paralisi nella designazione dei vertici dell’azienda del servizio pubblico, che si riverbera persino sull’ordinario funzionamento dell’organismo parlamentare di vigilanza mostra quanto pesi il condizionamento partitico all’interno della Rai”. Ma la mozione è stata bocciata alla Camera con 164 voti contrari, 114 favorevoli e 4 astensioni. 
Nel frattempo, però, nei pochi mesi rimasti la maggioranza ha imboccato altre strade. Nel documento di Fi si punta a ridare centralità al Parlamento nelle nomine Rai, abbassando la soglia per eleggere il presidente del Cda dalla maggioranza dei due terzi a quella semplice. Un modo per evitare lo stesso impasse che oggi blocca la nomina di Agnes. Si allunga poi la durata del mandato del Cda da tre a cinque anni. Camera e Senato ne eleggerebbero tre consiglieri ciascuno. Il presidente del CdA proporrà l’amministratore delegato, che sarà nominato dallo stesso consiglio e resterà in carica cinque anni. Cade il tetto massimo di retribuzione per i vertici Rai. La posta in gioco, però, non è solo nazionale. L’adeguamento alla normativa europea non è un’opzione: il Media Freedom Act è già legge, e l’Italia deve mettersi in regola.

Senza una riforma seria e tempestiva, Bruxelles potrà avviare una procedura formale per violazione del diritto Ue. Per il momento la Rai resta ostaggio di uno scontro politico che paralizza la governance e lascia il servizio pubblico senza guida.

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