ROMA Giuseppe Conte è quello che ha pianificato meglio di tutti, almeno nel centrosinistra, la sua strategia per il 2026, l’anno pre-elettorale in cui ci si posiziona per il big match delle Politiche. Agli amici e ai colleghi di partito che gli chiedono, «presidente, davvero nel 2026 dobbiamo puntare sulla sicurezza?», lui risponde: «Certamente, cresce nei cittadini la paura di scippi e rapine e il giusto fastidio per il degrado e a queste sensibilità dobbiamo dare risposte. Non lasciare le soluzioni alla destra». Che poi i dati sulla micro-criminalità urbana siano in discesa è un altro discorso. Quel che conta per Conte, ci si passi il gioco di assonanze, è dare a M5S un profilo di affidabilità e non più di movimentismo, una fisionomia non tutta spostata a sinistra ma che guarda ai ceti moderati e a quel centro che tutti vogliono costruire (la Casa riformista di Renzi è lì ubicata) e in cui il leader stellato può rivelarsi a sua volta un player. E allora perché non farlo noi il centro (parola impronunciabile da quelle parti), dicono i seguaci, anche se loro non lo chiamano così, del CamaleConte?
TRA FURTI E TRUMP
Sembra abbastanza centrata questa strategia del presidente M5S. Visto che a sinistra Schlein fa il pieno e Avs pesca in quello stesso mare, non può che cercare spazio in zone diverse Conte e l’offerta individuata è questa: iper-pacifismo (a cui il mondo del cattolici è molto sensibile così come gli italiani in generale) e più sicurezza; no alle armi a Kiev e proposta di legge anti-borseggio già depositata dalla deputata Marianna Ricciardi; severità verso l’Ue («Ci pensi Trump», aveva detto Conte per poi correggersi: «Spiragli di pace esistono ma la Ue non è protagonista») e impostazione non sindacalese né sinistrese sull’economia. La patrimoniale? Giammai. Landini? Ormai quasi un ex amico. La «rivolta sociale» e la moltiplicazione degli scioperi generali? Suvvia.
E rientra, ora non più come componente della squadra ma come fiancheggiatore esterno, Rocco Casalino in questa marcia di avvicinamento di Conte — obiettivo Palazzo Chigi: perché Elly e non io? — al moderatismo, con l’ex spin doctor che nelle tivvù narra Giuseppe come un politico affidabile e tutt’altro che estremista. E c’è questa costruzione dell’immagine nuova ma anche la costruzione di una sostanza nuova. Ripete spesso ai suoi il presidente stellato: «Dobbiamo spingere di più sul Nord, dialogare con le forze imprenditoriali e lavorative».
LA LINEA GOTICA
Oltre la linea gotica e oltre la vecchia identità? Sì. Per rivaleggiare da centrista flessibile e moderno con gli altri centristi che cercano spazio sia a destra sia a sinistra? Sì. Al Nazareno, le intenzioni e le mosse di Conte sono monitorate con molta attenzione. Ciò che non conviene è che in primarie affollate (Elly, Giuseppe, Fratoianni, Onorato, Ruffini, magari Salis molto gradita tra i riformisti compresi quelli dem) il leader stellato possa se non superare quasi pareggiare con l’alleata-rivale. In ogni caso, competition is competition è l’ex avvocato del popolo continuerà nel 2026 a marcare le distanze dal Pd («Alleati? Non lo siamo», ha detto ad Atreju) su Ucraina, sicurezza, immigrazione, fisco.
Nuova identità e nuova popolarità e in più c’è il colpo grosso o il sogno di cui si parla a Campo Marzo, quartier generale pentastellato. Quello di dimostrarsi così ben collocati e forti nei sondaggi alla vigilia del voto 2027 al punto da ripetere con Conte quanto è accaduto con Francesco Rutelli nel 2001. Avvenne che candidato premier dell’Ulivo fu il leader della Margherita, partito che valeva molto meno dei Ds ma che veniva considerato più capace di parlare e attirare voti oltre il recinto della sinistra. E’ passato un quarto di secolo da allora, ma certi giri tornano.
Mario Ajello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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