12.05.2025
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Politics

«Con il 25 aprile venne ricostruito il concetto di patria. Un errore la retorica sulla Liberazione»


Presidente Violante, il 25 aprile come parla, a chi parla, che senso ha?

«Il 25 aprile del ‘45 e’ stato uno spartiacque. Non è solo l’anniversario della Liberazione ma è l’inizio di un percorso di libertà. Un percorso che poi ha avuto altre due grandi tappe: il referendum sulla Repubblica e la nascita della Costituzione, che è figlia della Repubblica mentre la Repubblica è figlia della Liberazione».

Il 25 aprile contiene valori ancora vivi?

«A partire da quella fase cominciò a formarsi il concetto di patria che è attuale e profondo. Dopo il Risorgimento, le classi liberali dell’epoca cercarono di costruire una riflessione nazionale sul concetto di patria, e si ebbero alti e bassi: basti pensare alla repressione dei movimenti di piazza nel 1894 in Sicilia e in Toscana e nel 1898 a Milano con Bava Beccaris. Poi il percorso continuò nell’età giolittiana. L’idea era quella della costruzione di un concetto di patria nel quale tutti si riconoscessero, rispettando le differenze. Con il fascismo, il concetto di patria venne frantumato».

Ma come, secondo lei il fascismo non fu la quintessenza, anche smodata, dell’idea di patria?

«No. Nel Ventennio si costruì la grande frattura: i fascisti sono gli italiani e gli anti-fascisti sono gli anti-italiani. Le leggi razziali e la subalternità ad Hitler furono la tragica fase conclusiva di questa frantumazione. La Liberazione avvia un processo di ricostruzione del concetto di patria. Tant’è che una norma della Costituzione repubblicana affermerà che “la difesa della patria è sacro dovere” del cittadino».

Però, la sinistra non è mai stata molto patriottica. Nel nuovo libro di un ottimo storico, Gabriele Ranzato, si racconta che i comunisti come patria sentivano l’Urss e non l’Italia.

«Potrei obiettare che il giornale dell’Anpi si chiamava e tuttora si chiama Patria Indipendente. Ma occorre distinguere. A livello di base, molti comunisti avevano occhi solo per l’Urss, per il mito di Stalingrado, per l’Armata Rossa che occupa il Reichstag. Pensi che ci fu una lettera dei comunisti genovesi, inviata a Stalin, nella quale dicevano che in caso di una nuova guerra si sarebbero schierati con la Russia. Però bisogna dire che, essendo il comunismo un fenomeno d’importazione, mentre il fascismo era un prodotto nazionale, l’insistenza continua sul concetto di patria da parte di Togliatti e del gruppo dirigente era essenziale. Serviva a costruire il comunismo italiano che è stato una forma di patriottismo».

Lei 30 anni fa da presidente della Camera fece un discorso celebre sul tema dell’adesione condivisa ai valori nazionali. Si è creata tra destra e sinistra questa condivisione?

«Il fatto che ancora si parli di quel discorso è la dimostrazione che il problema è ancora aperto. Capisco che è molto più facile usare il termine “fascista” o “comunista” rivolto agli avversari, ma sono forme di infantilismo politico che servono soltanto a rassicurare chi le pratica e non fanno fare passi avanti al Paese. La proposta di una patria comune, nella quale tra diversi ci si rispetti dovrebbe appartenere alla cultura democratica. Ma i gruppi dirigenti dei partiti non mi pare siano orientati in questo senso».

Meloni viene tuttora accusata, ma sempre meno, di essere fascista. Polemica plausibile?

«Direi proprio di no. Fratelli d’Italia non è un partito fascista, anche se contiene qualche minoritario rigurgito filo-fascista. A me, pare che in FdI ci sia una faticosa emersione di linee da partito conservatore. Non sarà mai il mio partito, ma mi piacerebbe che ci fosse più impegno, in questa direzione, da parte del gruppo dirigente di FdI».

Perché i giovani per lo più se ne infischiano del 25 aprile?

«Anzitutto, perché è passato tanto tempo. E poi perché c’è stata una forte retorica sulla Liberazione, che non ha giovato. Aggiungo: il fatto che dopo la Liberazione la Dc abbia evitato celebrazioni solenni nel timore di favorire la sinistra ha portato questa parte a rivendicare una sorta di proprietà sul 25 aprile. Questa appropriazione ha accentuato i toni retorici».

Come ridare peso a questa data cruciale?

«Credo molto in un’espressione apparentemente scomparsa: la pedagogia civile. Ovvero far capire che cosa significa essere cittadini italiani, che non è un certificato ma un complesso di valori e di idee che nascono dal quel 25 aprile».

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