14.12.2025
12 Street, Rome City, Italy
Fashion

«Con Checco Zalone qualcosa si è rotto. Era diventato ossessivo e attento ai soldi»


Pietro Valsecchi viene da una famiglia molto numerosa. «Mio padre aveva nove fratelli, tre morti in guerra, lui deportato a Mauthausen. Si salvò cucinando. Mi ha trasmesso l’amore per la cucina. Mia madre invece la persi quando avevo appena 9 anni. Da lì iniziò la mia elaborazione del lutto, la ricerca di un rifugio. Quelrifugio lo trovai nel cinema». Al Corriere della Sera racconta che «mi infilavo in sala e vedevo tre film di fila».

Un giorno l’esercente di quel cinema gli chiese una mano. «Stavo dietro la cassa, controllavo i biglietti, salivo in cabina di proiezione, sentivo il rumore della pellicola che scorreva, respiravo l’odore caldo del proiettore. La sera tornavo a casa col cuore pieno di storie.

Ma allo stesso tempo stavo scoprendo il teatro di Strehler». Cominciò a fare l’attore fino a quando, un giorno, a Roma, in platea «c’era Sofia Scandurra moglie di un regista di talento, Leone Viola. Mi disse che avevo una faccia da cinema. Mi prese».

Da qui, sulle pagine del Corsera è un susseguirsi di piccoli ritratti di chi ha incontrato sulla sua strada. Il primo è Michele Placido. «È stato un amico importante. Acquistai i diritti di Mery per sempre ed ebbe inizio la nostra collaborazione. L’ho convinto a debuttare alla regia. Col tempo le nostre strade si sono separate».

Kim Rossi Stuart

La carriera di produttore di Pietro Valsecchi inizia con «L’affare Danton, con la regia di Wajda, capii che non avevo il sacro fuoco del teatro. Ed entrai nella società di Pupi e Antonio Avati: aiuto regista di Marcello Aliprandi». Ricorda che «non riuscivamo a trovare il protagonista, per strada vidi un ragazzino che faceva l’autostop. Bello, biondo, occhi azzurri, viso delicato. Era Kim Rossi Stuart, aveva 13 anni. Gli chiesi se voleva fare un provino per una serie tv. Lo vinse».

La moglie

Poi parla di sua moglie Camilla Nesbitt. «Mi innamorai di lei a prima vista, anche se lei non mi degnò di uno sguardo. Molti anni dopo sarebbe diventata la madre dei miei figli. È il motore della mia vita. Per più di trent’anni abbiamo condiviso ogni giorno, tra casa e lavoro, sempre insieme. Abbiamo costruito tutto fianco a fianco, sostenendoci senza mai fermarci. Progetti, idee, sogni condivisi, malgrado le sue amiche all’inizio ci remassero contro. È stata decisiva per farmi prendere in mano il mio destino. I miei riferimenti erano Rosi, Petri, Bertolucci e Bellocchio. Il vero successo è arrivato con Checco Zalone».

Checco Zalone

A cena, a Cortina, «nacque l’idea di Cado dalle nubi. Un ragazzo che parte dal Sud per conquistare Milano e diventare il più grande cantante. All’interno di Medusa, la società di cinema di Berlusconi che in quel periodo era mia al 50 per cento, non tutti erano d’accordo all’idea di fare un film su Zalone. Ho fatto un film contro tutto e tutti. Incassò 18 milioni. Poi le cose si complicarono. Tutti volevano rubarmi Zalone. Abbiamo fatto cinque film insieme. Gli abbiamo trasmesso l’amore per l’arte e per il collezionismo, e affinato il gusto per il vino. Abbiamo condiviso serate di musica, risate e leggerezza: momenti preziosi che porterò con me. Fino a quando qualcosa si ruppe».

Allo storico quotidiano di Via Solferino, Valsecchi racconta che Zalone «non voleva più far ridere. Aveva bisogno di essere accettato dall’intellighenzia di sinistra, che non l’aveva capito. È un democristiano fino al midollo, voleva il riconoscimento di quel mondo e quando l’ha avuto l’ha snobbato. Solo che a me questo suo riconoscimento è costato 24 milioni di euro. Mi disse, con tutti i soldi che ti ho fatto guadagnare, ora te li faccio spendere. Una sorta di vendetta poetica. Ma ero d’accordo con lui, dopo tutti i successi, aveva il diritto di prendersi la sua libertà»


© RIPRODUZIONE RISERVATA


Leave feedback about this

  • Quality
  • Price
  • Service
[an error occurred while processing the directive]