Alessandro Haber è pronto a ricominciare da «Volevo essere Marlon Brando», una piéce teatrale, a tratti autobiografica. «Se mi volto indietro posso dire di aver vissuto intensamente, sono caduto e mi sono rialzato senza mai cercare strade facili. Ho sempre cercato la crisi perché l’imperfezione fa crescere mentre la felicità, dopo un pò, non mi dice granché».
A La Stampa ammette che «sul lavoro mi sono dato senza ritegno, mentre nel privato…
Il fatto è che il palco è la mia droga: mi ubriaco di lui perché mi fa godere, alla stregua di un amplesso, distogliendomi dai pensieri che mi turbano». Il principale riguarda lo spettro dela morte: «Ormai guardo tutto ciò che mi circonda accarezzandolo. È una strana forma di malinconia, che a volte ha il peso della depressione». Poi confessa che «vorrei dare una sbirciatina al mio funerale. Mi piacerebbe se fosse una cosa semplice, disincantata. Non vorrei che la gente piangesse ma che ci fosse solo una suggestione malinconica, legata al piccolo vuoto che percepiscono per la mia dipartita. Quando al discorso, conosco già quello di Giovanni Veronesi…».
Tra una confessione e l’altra ammette che ci avrebbe messo forse più di sei anni a prendere il diploma delle medie «se i miei non mi avessero fatto sostenere l’esame da privatista, di fatto comprandolo. Ci ho impiegato molto perché avevo sempre tre o quattro in condotta: insultavo i prof, litigavo con i compagni. Ero un bambino esagitato, iperattivo: non capivo il senso di stare a scuola. Fu un errore perchè la cultura è fondamentale».
Fuori dal set è sempre stato un amante del poker. «Ero un giocatore normale, a cui però non interessava vincere. Preferivo perdere: mi piaceva il gioco in sè, le emozioni che dava. (…) Anni fa a Natale giocai a carte con Gian Maria Volontè: mi ha sderenato. Persi 4 milioni, me ne condonò due. Ma non sono mai stato un ludopatico: il lavoro è la mia unica droga».
Anche se in realtà, come ricorda La Stampa, negli anni ’80 Alessandro Haber provò anche quella. «Iniziai per moda: si drogavano tutti. Andai avanti per un paio di anni quando non salivo sul palco. Una forma di autodistruzione inconscia. Buttai via tutto quando, a causa della droga, feci… cilecca. La droga rimpicciolisce tutto e io preferivo di gran lunga scopare che sballarmi».
Giuliana De Sio è stato il suo amore più grande: «Ci impiegai tanto a conquistarla, ma ne è valsa la pena. Lei aveva 18 anni, dieci meno di me, veniva dalla cultura hippie e mi vedeva come un borghese. Io stavo con un’altra donna ma appena la conobbi pensai solo a lei. Nella mia vita ho avuto tanti amori ma dopo tre anni al massimo finivano». Tutta colpa del suo lavoro perchè poi «la partner si sente trascurata».
Si boccia anche come padre: «Sono un disastro. Ma per mi figlia Celeste darei la vita».
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