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Chi può tradire Ursula, gollisti francesi destra irlandese e forse i dem italiani


In Europa è l’ora dei tatticismi e delle pacche sulle spalle. Se un pezzo di internazionale sovranista si appresta ad annunciare, questa mattina, una possibile riorganizzazione dei propri ranghi, Ursula von der Leyen si prepara invece a sfoderare il sorriso più smagliante e il programma politico più equilibrato pur di scampare alla trappola delle defezioni e dei franchi tiratori quando, giovedì 18 luglio, si presenterà agli europarlamentari riuniti a Strasburgo per la prima plenaria della legislatura, chiamata a votarle la fiducia. Pallottoliere alla mano, per arrivare a quota 361, il numero magico pari alla maggioranza assoluta dell’Aula, von der Leyen deve anzitutto serrare i ranghi e sperare di contenere il fuggi-fuggi nei tre gruppi che compongono la euro-maggioranza (popolari, socialisti e liberali). Che qualche segnale allarmante glielo mandano da tempo. Prendiamo il suo partito, il Ppe (188 seggi). Già in occasione dell’investitura come (unica) candidata popolare alla presidenza della Commissione Ue, al congresso di marzo a Bucarest, almeno due fazioni interne notoriamente a lei avverse si smarcarono platealmente: Les Républicains, i gollisti francesi (6 eletti), che nella loro sempre più decisa svolta a destra la accusano di essere una marionetta dell’inviso inquilino dell’Eliseo Emmanuel Macron; ma pure l’Sds sloveno (5 eurodeputati) dell’ex premier Janez Janša, soprannominato negli anni al potere “Maresciallo Twitto” per la sua propensione a post divisivi o arrembanti.

Il Ppe non sembra intenzionato a prendere provvedimenti contro i dissidenti; anzi, il portabandiera Ue dei repubblicani francesi François-Xavier Bellamy è stato eletto vicepresidente del gruppo all’Eurocamera, e lo stesso è accaduto alla slovena Romana Tomc. Sommando le due delegazioni stiamo parlando di 11 voti in tutto; ma pesano eccome su un margine di 38: tanto è, infatti, il distacco tra la euro-maggioranza che von der Leyen ha sulla carta, pari a 399, e la soglia agognata dei 361.

I FRANCHI TIRATORI
A questi ribelli vanno aggiunti i franchi tiratori, stimati in un fisiologico 10-15%. E anche in campo liberale non mancano gli avvertimenti; come gli irlandesi governativi del Fianna Fáil (sono 4) che, tradizionalmente pro-Palestina, dopo aver bocciato la riconferma di von der Leyen per le sue posizioni filo-israeliane sulla guerra a Gaza, ora sono in fase di «riflessione». Le incognite non mancano pure in campo socialista, mentre le delegazioni nazionali (Pd compreso) non hanno ancora reso noto come intenderanno muoversi. Il sostegno — è la premessa — «non è un assegno in bianco» e dipende dal no secco a ogni cooperazione con le destre. Su una marcata apertura ai verdi, invece, la tedesca rischia perdere altri pezzi del suo Ppe, come Forza Italia e popolari spagnoli.

Le grandi manovre politiche della destra che vuole contarsi per contare in Ue, intanto, lasciano Bruxelles. I conservatori dell’Ecr, il gruppo di Fratelli d’Italia, fanno tappa in Sicilia: in ballo è la tenuta del gruppo, il terzo dell’emiciclo, alla luce delle frizioni con epicentro il PiS polacco (20 eletti). Nell’equazione rientra anche il premier ungherese Viktor Orbán, che oggi a Vienna lancerà un “Manifesto patriottico” insieme a Herbert Kickl, presidente dell’ultradestra austriaca dell’Fpö (arrivata prima alle europee, e finora nell’alleanza Ue dei sovranisti con Lega e Marine Le Pen) e all’ex premier ceco Andrej Babiš, fresco di abbandono della famiglia liberale. Sullo sfondo, le trattative per rimescolare le carte e dare all’Eurocamera un gruppo parlamentare nazionalista nuovo di zecca. Il terzo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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