«Obiettivo legittimo». Venerdì pomeriggio la minaccia di Vladimir Putin — incenerire le truppe di pace europee non appena metteranno piede in Ucraina — ha riecheggiato nei corridoi al primo piano di Palazzo Chigi. E ha interrogato la premier e i suoi collaboratori.
«Noi lo diciamo da tempo» è il senso del ragionamento condiviso da Giorgia Meloni con i ministri che la cercano. Convinta, come ripete a ogni occasione nei vertici virtuali e in presenza con gli alleati europei, che l’invio di soldati sul suolo ucraino non sia una soluzione percorribile per la pace. Non ora almeno. Chiede invece la presidente del Consiglio di accelerare sulla scrittura delle “garanzie di sicurezza”: il trattato che dovrà assicurare l’Ucraina, nero su bianco, contro nuove invasioni russe. Fidarsi della parola di Putin è impossibile, ha spiegato Meloni giovedì, collegata in video con i “Volenterosi”, rigettando davanti a Trump la «provocazione» lanciata da Putin di un summit a Mosca insieme a Zelensky. Vuole accelerare la premier. E questo perché, come ha confidato ai suoi nei giorni scorsi, se si perde ancora tempo a organizzare call e conferenze al computer, il rischio di uno “sganciamento” degli Stati Uniti diventa molto concreto.
Trump dà già segni eloquenti di insofferenza. È questione di tempo. «Qualcuno non si rende conto che sta giocando col fuoco» lo sfogo della premier nei colloqui riservati a Roma. Fra le righe, una frecciata al presidente francese Emmanuel Macron, deciso a non dismettere i panni di “regista” delle trattative. Ma soprattutto il primo sostenitore di una missione militare europea e internazionale in Ucraina per garantire il cessate-il-fuoco lungo il confine orientale. Nasce da qui il format dei “Volenterosi”, ormai allargato a Paesi che apparentemente con lo scenario ucraino — vedi l’Australia — hanno ben poco da spartire. L’Italia è ormai seduta in pianta stabile a quei tavoli. Anche se resta nettissimo il niet di Meloni all’invio di truppe italiane sul campo: da Roma è stata data una disponibilità, ancora tutta da definire, per potenziare i programmi di addestramento dell’esercito di Kiev peraltro già in essere da anni.
LE GARANZIE PER KIEV
Ora però la minaccia di Putin — la Russia riterrà qualunque soldato occidentale «un obiettivo legittimo», poco importa se indosserà un elmetto da peacekeeper — rischia di costringere gli europei a ripartire dal via. E di allungare i tempi per la pace. Scenario, questo, che inquieta da tempo il governo italiano. «Macron si impunta e cerca attenzioni perché è un leader debole, ma qui in gioco c’è la vita e la sicurezza di milioni di persone — si sfoga sotto anonimato un ministro di peso a conoscenza delle trattative diplomatiche — non immaginate la guerra che ci stanno facendo (i francesi, ndr) contro l’idea di una sorta di articolo 5 della Nato esteso all’Ucraina soltanto perché è un’idea nostra».
Il clima è questo. Ironia della sorte, l’ultimatum lanciato da Putin a Vladivostok dà forza alle preoccupazioni italiane. E rilancia il canale parallelo a quello militare, ovvero appunto le garanzie di sicurezza da definire prima di far sedere Zelensky con il presidente russo. Nell’amministrazione Trump, dopo i primi entusiasmi, c’è chi ha preso a frenare sull’idea italiana, riferisce il Washington Post. Eppure dietro le quinte i lavori proseguono. Di più: accelerano. Già questa settimana potrebbe tenersi un vertice dei Consiglieri per la sicurezza nazionale dei principali Paesi europei sotto la regia del segretario di Stato americano Marco Rubio. Obiettivo: concordare il testo dell’articolo che dovrà rassicurare l’Ucraina sul suo futuro. «Prima dobbiamo scrivere questo articolo e trovare un accordo fra noi, poi potremo avviare negoziati ad alto livello» è la linea impartita ai suoi da Meloni. Di che si tratta? Di un meccanismo automatico — sottoscritto da decine di Stati europei e dagli Stati Uniti — che prevede di intervenire a difesa dell’Ucraina entro 24 ore da una nuova aggressione armata russa. Come? Il diavolo come sempre è nei dettagli. La bozza iniziale prevede “consultazioni immediate” fra i partner e una reazione modulata a seconda della gravità dell’attacco russo. Sanzioni, se il casus belli è un missile sconfinato per errore o provocazione. Aiuti militari immediati e in extremis perfino una no-fly zone se si dovesse ripetere lo scenario apocalittico del 24 febbraio del 2022. Dettagli da limare in fretta. Prima che le truppe russe rompano le difese ucraine in Dombass. Prima che Trump si tiri fuori dal risiko ucraino. Prima che qualcuno, come ripetono a Palazzo Chigi, «a forza di giocare col fuoco finisca bruciato».
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