ROMA Elezioni regionali, manovra, riforme, Pnrr. L’agenda post-agostana del governo e della maggioranza è già colma d’impegni, ma c’è da scommettere che, al rientro dalle vacanze, uno spazio per la legge elettorale andrà trovato. Dopo mesi di retroscena, abboccamenti tra sherpa e scenari del terzo tipo, sono in molti tra gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama a essere dell’idea che «i tempi siano maturi» per avviare una discussione nel merito e cominciare a mettere a punto prime bozze. «Credo che si entrerà nel vivo a ottobre», spiega al Messaggero, Nazario Pagano, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. D’altronde è da qui che, più spesso, nel corso della storia, hanno preso avvio gli iter delle proposte elettorali. Un timing verosimile (nonostante il vecchio adagio politico consigli di trattare questi temi sempre a ridosso del fine legislatura per evitare anzitempo tensioni tra alleati) se si guarda solo alla mole di lavoro che dovrà portare avanti, in contemporanea, la prima commissione di Montecitorio: seconda lettura del premierato (dove sono attesi ritocchi), legge sul lobbying, e poi la riforma di Roma Capitale, assegnata mercoledì scorso.
MINI-LISTINI
Se allo scoccare del terzo anno di legislatura i tempi possono dirsi maturi, ancora tutta da definire è la fisionomia che la nuova legge dovrà avere. L’orientamento circolato in questi mesi propende per un proporzionale con premio di maggioranza per la coalizione che superi il 40% dei voti e l’indicazione del candidato premier (nel caso in cui la riforma del premierato venga approvata in tempi utili). Bisognerà, però, mettere in piedi un meccanismo alternativo nel caso in cui nessuna delle coalizioni raggiunga questo risultato, e anche capire come assegnare il premio su base regionale al Senato, come previsto dalla Costituzione. Pur se caldeggiata in chiaro da alcuni leader politici e, da ultimo, dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, sembra perdere quota la reintroduzione — salvo capilista bloccati — delle preferenze. Di cui, a microfoni spenti, molti onorevoli non faticano a delineare gli aspetti negativi: il rischio d’innesti con la criminalità, penalità per i partiti più piccoli e uno “svantaggio” per chi, in Parlamento durante la settimana, abbia ridotto i legami con il territorio. Senza contare che la previsione di liste con capolista bloccato avvantaggerebbe pochi e creerebbe un “effetto a catena” nel caso in cui, al primo posto di traino, si inserissero i leader. Il piano B di cui si parla con più insistenza riguarda mini-listini bloccati, composti al più da quattro persone.
MODELLO TOSCANA
In alternativa, tra le ipotesi sul tavolo a via della Scrofa, anche un sistema che ricalchi il modello regionale toscano, che ha sì preferenze, ma agevolate, con i nomi indicabili già stampati sulla scheda. Quel che è certa, però, è la volontà di archiviare l’attuale legge, il Rosatellum, e la quota di collegi uninominali da esso prevista e da spartire tra tutti i partiti di una medesima coalizione.
Un passaggio ancor più necessario se si considera che, con la legge attuale, le opposizioni unite potrebbero riscuotere la gran parte dei collegi uninominali al Sud (come fatto proprio dal centrodestra nel 2022, sfruttando la divisione degli avversari). Anche se la proposta su carta ancora non esiste, già si sa che dovrà essere approvata entro inizio 2027. Almeno per consentire il ritorno anticipato al voto: fonti diverse indicano già maggio 2027 per le prossime politiche: una soluzione di compromesso per evitare le urne sotto manovra di bilancio, ma anche a garanzia di quei parlamentari che rischiano di non essere riconfermati (il trattamento di fine mandato maturerà a metà aprile 2027).
Passato il guado di oltre metà legislatura, la legge elettorale non è più un argomento tabù.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti e retroscena del panorama politico
Iscriviti e ricevi le notizie via email