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Segnali positivi dal Servizio di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (Cams): oggi, 1 dicembre, si chiuso in anticipo il buco dell’ozono antartico. Si tratta della chiusura più precoce dal 2019 ed è il secondo anno consecutivo, inoltre, che si verificano buchi relativamente piccoli rispetto alla serie di fori di ozono grandi e duraturi che c’erano stati dal 2020 al 2023, con concentrazioni di ozono più elevate. Quello della stagione australe 2025 è il quinto più piccolo dal 1992. La notizia, secondo Copernicus, «alimenta le speranze di ripresa»: è sintomo di un graduale, per quanto piccolo, miglioramento dell’inquinamento causato principalmente dai gas CFC. Sembrerebbe, così, che uno dei mali più grandi del nostro Pianeta, tra i più nocivi per la nostra salute, sia in recessione.
Perchè si forma il buco dell’ozono?
Il buco dell’ozono, che in realtà è un assottigliamento dello spessore dell’ozonosfera (lo strato che ci protegge dai raggi UV pericolosi) è conseguenza dell’attività antropica.
Man mano che l’essere umano ha iniziato a emettere grandi quantità di sostanze ricche di cloro, bromo e fluoro, tra cui i clorofluorocarburi (CFC) e bromofluorocarburi (BFC), l’assottigliamento è diventato realtà. Si tratta di sostanze refrigeranti o schiumogene, presenti ad esempio negli spray o nel polistirolo espanso, che non appena vengono colpite dai raggi solari rilasciano componenti reattive con l’ozono, ne spezzano i legami e assottigliano anche l’ozonosfera. Tutte queste sostanze sono state attenzionate molto negli ultimi anni e si stanno iniziando a vedere i primi frutti di un lavoro lungo e complesso, congiunto tra tutti i vari Stati.
La stagione dei buchi dell’ozono
La stagione dei buchi di ozono, ossia la loro effettiva durata, durante la primavera australe si modella ogni anno in base a temperature, venti nella stratosfera dell’emisfero sud e alla presenza di sostanze che impoveriscono l’ozono, spiega l’ente di osservazione della Terra, che è parte del programma spaziale dell’Unione Europea. Queste sostanze che attaccano l’ozono sono tutte conseguenze dei comportamenti scorretti e non ambientalisti dell’essere umano.
Il direttore del Cams: «Promemoria di come si affrontano le sfide ambientali»
Il direttore del Cams, Laurence Rouil, ha commentato questo andamento positivo: «La chiusura anticipata e la dimensione relativamente piccola del buco dell’ozono di quest’anno sono un segnale rassicurante e riflettono i progressi costanti anno dopo anno che stiamo osservando nel recupero dello strato di ozono grazie al divieto di Ods. Questi progressi — ha aggiunto — dovrebbero essere celebrati come un tempestivo promemoria di ciò che si può ottenere quando la comunità internazionale lavora insieme per affrontare le sfide ambientali globali».
Gli effetti del Protocollo di Montreal
Oltre alla chiusura anticipata è molto importante segnalare che anche la dimensione dell’assottigliamento si sta riducendo sempre di più. Quello del 2025 è il quinto buco dell’ozono più piccolo per dimensioni dal 1992. Questa è, infatti, una data spartiacque: è l’anno in cui è entrato in vigore il Protocollo di Montreal, l’accordo internazionale per l’eliminazione graduale delle sostanze chimiche che danneggiano questo ‘scudo’ naturale della Terra contro le radiazioni ultraviolette del Sole. E la riduzione non è indifferente. Il record era stato toccato nel 2006, con un’estensione media di 26,60 milioni di chilometri quadrati. Nel 2025 la massima estensione giornaliera è stata il 9 settembre, quando è arrivato a 22,86 milioni di chilometri quadrati: il 30% in meno rispetto al 2006. Il Protocollo di Montreal e i successivi emendamenti stanno guidando il graduale recupero dello strato di ozono nella stratosfera, siamo sulla buona strada per recuperare del tutto entro il 2100, ma secondo Paul Newman, a capo del team di ricerca sull’ozono presso il Goddard Space Flight Center della Nasa «abbiamo ancora molta strada da fare prima che tornino ai livelli degli anni Ottanta».
L’immagine di questo articolo proviene dal monitoraggio in tempo reale della Nasa, che aggiorna lo stato del buco dell’ozono al sito www.ozonewatch.gsfc.nasa.gov
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