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Btp, salgono gli acquisti esteri. I fondi stranieri hanno speso 42 miliardi per i nostri titoli pubblici


I segnali del buono stato di salute dei conti italiani proseguono. L’ultimo è arrivato dalla Banca d’Italia, che ha registrato un’impennata nei primi mesi dell’anno di investimenti esteri in Btp. A questo si affianca un aumento delle entrate tributarie registrata dal disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato. Qualche giorno fa anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha espresso una buona dose di ottimismo. Non servirà, ha detto, una manovra «lacrime e sangue». Dunque se la domanda è se si tratti di un ottimismo della volontà o della ragione, la risposta è probabilmente la seconda. Ci sono dei dati reali che hanno convinto Giorgetti a indossare le lenti “rosa”. Un indizio, come detto, è emerso dai dati pubblicati ieri dalla Banca d’Italia. Nei primi mesi di quest’anno, c’è stato un vero boom di acquisti di titoli di Stato italiani da parte dei fondi esteri, che si è affiancato alla ripresa degli acquisti da parte delle famiglie italiane grazie allo strumento del Btp Valore. Gli investitori stranieri, che normalmente non sono molto teneri sul debito pubblico italiano, hanno incrementato di 42 miliardi di euro i titoli nei loro portafogli. Stanno scommettendo sul Paese, nonostante un debito che sfiora il 140 per cento del Pil. Considerando che i mercati generalmente hanno una vista più lunga degli altri, c’è da chiedersi cos’è che vedono. Certo, sono sicuramente attratti dai rendimenti più alti che oggi paga il debito italiano, ma è probabile che vedano anche un’economia più in salute di quella di altre nazioni europee.

E qui, a dimostrazione, viene in aiuto un secondo importante dato reso noto ieri dalla Banca d’Italia. Nei primi tre mesi dell’anno il saldo netto nei confronti dell’estero è salito a 165,2 miliardi di euro. Significa che esportiamo tanto (anche se ha inciso in parte l’ aumento delle quotazioni dell’oro che ha rivalutato le riserve della Banca d’Italia).

LE TENSIONI

Le tensioni sul commercio mondiale e i dazi, non sembrano per ora aver avuto grandi effetti sulla capacità delle imprese italiane di competere e conquistare quote di mercato.

Una maggiore forza economica fornisce un sostegno anche ai conti pubblici. In Parlamento è stato appena trasmesso il disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato. Di cosa si tratta? È un documento che aggiorna a metà anno le previsioni sulle entrate fiscali e sulle spese pubbliche. Se l’economia cresce il gettito fiscale sale. Rispetto alle previsioni, secondo i dati dell’assestamento le entrate aumenteranno di quasi 27 miliardi di euro nel 2024. Circa quattro miliardi e mezzo in più arriveranno dall’Irpef, sei miliardi e passa dall’Ires, la tassazione delle imprese, mentre qualcosa in meno si incasserà dall’Iva. Anche le spesa salgono di circa 26,6 miliardi. Ma qui bisogna fare una distinzione. Quelle correnti salgono di “soli” 7 miliardi, mentre quelle in conto capitale aumentano di 19 miliardi. Queste ultime tengono conto di un fardello extra di 13,5 miliardi del Superbonus del 110 per cento, a cui si aggiungono altri crediti di imposta. Ma dovrebbe trattarsi ormai dell’ultima coda degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie alle quali il governo ha messo un punto definitivo nei mesi scorsi. Questo migliore andamento dei conti pubblici permetterà quest’anno, secondo il bilancio di assestamento, di emettere 10 miliardi di titoli del debito pubblico in meno. Non si può però dire che il cielo sia completamente sgombro dalle nubi. Bankitalia conferma una crescita dello 0,6% contro le previsioni dello 0,9% del governo. In Italia in questo momento, uno dei principali problemi è il “caro-denaro”. La Banca centrale europea ha effettuato il più rapido aumento dei tassi ufficiali. Solo a giugno è arrivato un primo taglio che ha portato il tasso sui rifinanziamenti principali dal 4,50 al 4,25%e quello sui depositi dal 4% al 3,75%. La politica monetaria è ancora decisamente restrittiva. Le imprese italiane, proprio a causa del caro tassi, hanno ridotto di molto la loro domanda di prestiti. Così investono meno. E lo fanno anche perché intanto sono terminati gli incentivi di Industria 4.0 e non sono ancora entrati in vigore quelli di Transizione 5.0. Tanto è vero che uno dei comparti a soffrire di più è proprio quello degli investimenti in macchinari. Confindustria, nella sua congiuntura flash pubblicata ieri, ha ricordato che proprio l’attivazione degli incentivi alle imprese e gli investimenti del Pnrr, saranno uno dei volano dei prossimi mesi. Dovranno compensare il rallentamento della manifattura, dovuto soprattutto alla crisi di Francia e Germania, due dei nostri principali partner commerciali con i quali l’interscambio è molto alto. Va anche considerato che i tassi elevati di interesse in Italia hanno un impatto superiore a quello di molti altri Paesi europei, a partire proprio da Francia e Germania.

IL MECCANISMO

Questo soprattutto per i differenti livelli di inflazione. In Europa il tasso medio è del 2,5 per cento. In Italia, a giugno, è stato dello 0,9 per cento. Le previsioni della Banca d’Italia, dicono che il prossimo anno il tasso di inflazione sarà attorno all’1,5 per cento in Italia. Il Paese insomma, paga un tasso “reale” più alto e questo la rende in prospettiva meno competitivo. Per questo ci sarebbe bisogno che i tassi scendessero in modo sì graduale, come ha detto la governatrice della Banca centrale Christine Lagarde, ma anche «deciso», come ha chiesto invece il ministro dell’Economia Giorgetti. Ne avrebbero un beneficio non solo le imprese che potrebbero far ripartire gli investimenti, ma anche i conti pubblici grazie ai risparmi sugli interessi del debito.

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