Il suo obiettivo è il partito dei competenti. Ed è, in generale, il ritorno della competenza nella professione della politica. Perciò Carlo Calenda ha voluto le liste elettorali di Azione non gremite di nomi altisonanti ma di personaggi che, ognuno nel proprio campo, l’università, i centri di ricerca, le aziende, sono talenti riconosciuti. Sì, va bene: ma il quorum del 4 per cento Calenda lo raggiunge oppure no? In un mondo normale, lo raggiungerebbe. Perché il leader di Azione e i suoi candidati sono stati quasi gli unici che, insieme ai rivali del cartello Bonino-Renzi, hanno parlato di Europa in queste Europee. E non si sono accapigliati con il resto del mondo politico su argomenti domestici o provincialotti. Il centro sono io: ecco l’obiettivo di Calenda. Su questa base, se i voti la consentono, potrà da qui alle prossime elezioni politiche nel 2027 avere quella interlocuzione con i dem per costruire un fronte repubblicano alternativo alla destra che finora Carlo e Elly non sono riusciti a concepire insieme. L’eventuale tracollo di Conte unito a un 5 per cento per Calenda farebbero di quest’ultimo una figura molto più ricercata da parte del Nazareno che in chiave di governo ha bisogno di una costola iper-riformista per poter fare pienamente il partito di sinistra neo-laburista e socialista.
Azione come una nuova Margherita? Questo, sì. Ma c’è sempre Renzi di mezzo e nei paraggi e quella cultura politica innovativa e progressista la vuole rappresentare lui. Intanto, Calenda con Siamo Europei ha aggregato tutto l’aggregabile (rifiutando in Sicilia i portatori di voti non proprio purissimi). Si è candidato capolista dappertutto. E si è posizionato in maniera naturale nell’europeismo come vera carta del futuro. Se dovesse andare male in questa tornata, significherebbe che la creatura politica di Calenda è a rischio logoramento. Ma Carlo continuerà a crederci.
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