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Autonomia differenziata, cosa succede adesso dopo la decisione della Consulta? Le diverse strade


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Adesso bisognerà fare i conti con lo stop parziale della Corte Costituzionale alla legge sull’Autonomia differenziata. Dovranno farlo i partiti di governo, che pure si sono affrettati a far passare la decisione dei giudici costituzionali come un fattuale via libera. Dovrà farlo pure la sinistra, che invece ha subito gridato alla bocciatura, al no netto dei giudici alla riforma. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Certo è che il monito lanciato dalla Consulta avrà delle conseguenze, dirette e indirette, per entrambe le compagini.

Le conseguenze per maggioranza e opposizione

Anzitutto se l’arma principale delle opposizioni contro l’Autonomia differenziata era il famoso refrendum abrogativo — i cui banchetti erano comparsi in tutta Italia — ecco, forse quella strada potrebbe non esistere più.

I rilievi della Consulta, come diceva ieri pure il leader del Carroccio Matteo Salvini, potranno agevolmente essere superati in Parlamento. E una volta che la legge verrà modificata, che i sette profili ritenuti «illegittimi» dalla Corte saranno superati dalle Camere, i quesiti referendari potrebbero perdere di senso. 

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Per la maggioranza, o meglio, per i governatori di destra che già stavano cercando di ottenere il trasferimento di una parte delle competenze, specie per quel che riguarda le materie non-Lep, la decisione della Cosulta ha invece l’effetto di sospendere questo processo. Nonostante la Lega abbia ribadito che andrà avanti, che le Regioni, il Veneto di Luca Zaia e la Lombardia di Attilio Fontana in testa, continueranno a reclamare materie non considerate alla base dei diritti fondamentali dei cittadini, bisognerà con tutta probabilità attendere tempi più lunghi del previsto, che comprenderanno — come dicevamo — anche il passaggio in Parlamento.

I tempi di eventuali intese Stato-Regioni si allungano

In ogni caso, quello della Corte di qualche giorno fa resta un comunicato parziale. Per comprendere le conseguenze precise di quanto deciso dai magistrati costituzionali, bisognerà attendere la pubblicazione della sentenza integrale. Appare chiaro che la Consulta chieda un maggiore coinvolgimento del Parlamento anche nella definizione dei Lep. Non solo. Lo Stato, sottolinea nel comunicato, non potrà trasferire alle Regioni intere materie, ma solo «specifiche funzioni legislative». E sottolinea che questa devoluzione di poteri dovrà «essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamo del principio di sussidarietà».

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L’effetto, anche in questo caso, è di un rallentamento delle intese tra governo e Regioni. L’iter, che già sarebbe durato mesi, se non anni, adesso si complica ancora di più. Anche perché la Consulta ha stabilito pure che, una volta accordata dall’esecutivo a una Regione l’autonomia differenziata, il voto del parlamento non potrà limitarsi a un’approvazione dell’intesa, come un «prendere o lasciare» scrivono i giudici, ma bisognerà consentire a deputati e senatori di modificare l’accordo. E un’eventuale modifica porterebbe poi a un nuovo negoziato e così via. Insomma, per un verso o per l’altro l’iter si allunga. 

I risvolti politici

Senza contare le conseguenze politiche della decisione della Consulta, specie negli ambienti di maggioranza. La Lega ha messo il piede sull’acceleratore, vorrebbe correre con le intese con le Regioni almeno sulle materie non Lep nonostante quanto deciso dai giudici. Mentre in Forza Italia, partito a cui l’Autonomia non ha mai scaldato il cuore, i governatori del Sud (come quello della Calabria Roberto Occhiuto) sono tornati a chiedere una moratoria sull’attuazione della legge, in modo da rinviare tutto a data da destinarsi. 

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Nel partito di Governo, molti hanno interpretato la stop parziale della Consulta come una buona notizia. La riforma dell’Autonomia, d’altronde, la premier Meloni l’ha sempre un po’ subita dagli alleati della Lega. E nonostante il ridimensionamento possa sembrare una sconfitta per l’esecutivo, è anche vero, ragionano in via della Scrofa, che l’ipotesi che il referendum aborgativo voluto dalla sinistra venga cancellato è un grande peso che se ne va. La presidente del Consiglio non era affatto certa di vincere quella chiamata alle urne. Un pensiero in meno. E per il resto, sembra chiaro: non c’è fretta. 

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