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«Attenzione ai trojan nel telefonino»


L’inchiesta sulla corruzione a Venezia è andata avanti per due anni malgrado una “talpa” tra gli investigatori. Si tratta di «un militare infedele», che ha avvisato l’allora assessore Renato Boraso degli accertamenti compiuti dalla Guardia di finanza sotto il coordinamento della Procura, al punto da indurlo a dotarsi di un nuovo cellulare: un apparecchio «di ultimissima generazione», quindi a prova di trojan, come quelli del capo di gabinetto Morris Ceron e del suo vice Derek Donadini, secondo gli inquirenti però ugualmente attenti ad evitare anche le intercettazioni ambientali. Il retroscena spunta dal fascicolo, messo a disposizione degli avvocati delle 32 persone e delle 14 aziende indagate, affinché possano predisporre le loro difese.

Inizialmente sono state effettuate le tradizionali intercettazioni telefoniche, il cui esito è stato però «non decisivo», ammettono i pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo, poiché gli indagati e i loro interlocutori si sono limitati «ad accordarsi per incontri di persona ovvero rinviando la prosecuzione delle comunicazioni su piattaforme quali WhatsApp», che richiedono l’installazione di un captatore informatico.

Gli inquirenti hanno provato a installare il trojan nei telefoni di quattro soggetti: Ceron, Donadini, Boraso e Alessandra Bolognin, direttrice generale dell’azienda pubblica Immobiliare Veneziana. Tuttavia l’operazione è riuscita solo per questi ultimi, in quanto gli altri due hanno chiesto all’azienda informatica municipalizzata Venis degli apparati «non infiltrabili». La “talpa” sarebbe entrata in azione proprio su questo fronte. E non sarebbe stata la sola a mettere in guardia l’assessore: «La determinazione del Boraso a cambiare il telefono – puntualizzano gli inquirenti – è stata frutto di ripetuti avvisi ricevuti da persone diverse (tra cui un militare infedele e lo stesso sindaco Brugnaro) di essere sottoposto ad indagini». Significativa per i pm è la captazione ambientale in cui il primo cittadino dice al componente della Giunta: «Ti ripeto… pensa prima di parlare! Soprattutto al telefono…». Un indizio, secondo l’accusa, del fatto che Brugnaro sarebbe stato al corrente delle condotte di Boraso e lo avrebbe avvertito, «garantendogli comunque il suo “silenzio”».

L’AUTODISCIPLINA

Ceron e Donadini si sarebbero imposti una severa «autodisciplina» dopo l’accesso dei finanzieri in Comune per acquisire documenti riguardanti la cessione dei palazzi storici Donà e Papadopoli. Il loro traffico telefonico “normale” si sarebbe «fortemente ridotto» a favore di applicazioni di messaggistica come WhatsApp e Signal «che consentono anche chiamate vocali che eludono completamente le intercettazioni».

Eloquente viene reputata la registrazione del 30 dicembre 2022, quando Ceron è stato contattato da Federico Meneghesso, capo della direzione del presidente Luca Zaia (entrambi non indagati), il quale gli ha chiesto un breve incontro: «Alla richiesta di Meneghesso, Ceron manifesta la propria impossibilità, in quanto si trova a Milano e chiede a Meneghesso “se riesce a dirgli…” telefonicamente. Meneghesso fa comprendere a Ceron che non è opportuno parlarne telefonicamente e alla fine i due si accordano per sentirsi su “Signal”». Un’abitudine a quanto pare piuttosto nota, se il 23 gennaio 2023 perfino una bancaria «si scusa del fatto che lo sta contattando telefonicamente in quanto ha dei problemi con WhatsApp». Cinque giorni prima lo stesso capo di gabinetto sarebbe però stato rimproverato da Brugnaro per aver fatto dei nomi parlando al cellulare: «Ma non devi dirmelo così… ti ho detto vieni qua».

IL TIMORE DI CIMICI

Le strategie di autocontrollo si sarebbero poi rinforzate pure per i dialoghi in presenza, nel timore che fossero state posizionate delle “cimici” durante le ispezioni negli uffici. Sarebbe stato questo il senso del messaggio inviato il 27 gennaio 2023 da Donadini a Boraso: «Ci vediamo di persona? Faccio fatica al telefono…». Ma questo basta per accusare amministratori e funzionari? «È fuori di dubbio che tale condotta non può, di per sé, costituire indizio a carico di costoro per la commissione di qualsivoglia fatto-reato – riconoscono i pm Baccaglini e Terzo – ma è altrettanto indubbio che una così ossessiva postura difensiva avverso gli inquirenti — ribadita in più occasioni dal Ceron e dallo stesso Burgnaro — è dimostrativa della comune consapevolezza di tutti costoro di non poter agire e trattare apertamente certe questioni dovendole confinare nel più riservato e inaccessibile degli ambiti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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