Scattano nuove verifiche dell’Inps per evitare le truffe sull’Assegno di inclusione (Adi), il contributo che da circa due anni ha sostituito il Reddito di cittadinanza per i cosiddetti “inabili al lavoro”. Il nuovo intervento riguarda ex detenuti, persone in semi-libertà e i condannati per reati, ma ammessi a misure alternative al carcere (come le comunità di recupero). Le norme che regolano l’Adi, infatti, prevedono che possa riceverlo chi è in “condizioni di svantaggio” (sempre se rispetta anche i requisiti economici come le basse soglie Isee), compresi i condannati che non si trovano in istituti penitenziari o quelli che possono uscirne per parte della giornata per meriti e magari svolgere anche lavori di pubblica utilità.
Il meccanismo
Con un messaggio pubblico dello scorso mercoledì, l’Istituto di previdenza ha disposto l’estensione di un servizio informatico già esistente, quello di validazione delle certificazioni richieste per l’accesso all’Adi, coinvolgendo ora anche gli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe). In pratica, gli uffici che seguono i percorsi alternativi alla detenzione potranno collegarsi alla piattaforma Inps e confermare direttamente se una persona è effettivamente in carico a misure alternative, programmi di reinserimento o percorsi terapeutici.
Questo passaggio è pensato per rendere più puntuale e sicura la verifica delle condizioni di svantaggio dichiarate nelle domande. Fino a oggi l’istruttoria dell’Inps si basava soprattutto sulla richiesta di conferma alle amministrazioni che avevano rilasciato le attestazioni: per esempio Asl o servizi sociali dove era stato dichiarato l’inserimento in un programma di cura. L’intervento appena comunicato amplia il perimetro dei controlli e mette in contatto diretto l’Inps con chi gestisce l’esecuzione penale esterna, cioè gli uffici che conoscono la situazione giudiziaria e l’effettiva esecuzione della misura. Questo non significa che la certificazione penitenziaria sostituirà gli altri controlli, ma che rappresenterà una prova in più e più solida della condizione dichiarata.
La trasparenza
Dal punto di vista amministrativo la procedura prevede che l’ente chiamato a validare la certificazione risponda attraverso il servizio telematico. In caso di mancata risposta entro i termini tecnici previsti, sono previste misure operative per evitare il blocco permanente delle pratiche, ma la responsabilità di fornire riscontro spetta all’ufficio territoriale competente. Per questo motivo chi è seguito dall’Uepe dovrebbe accertarsi che l’ufficio territoriale sia informato e in grado di utilizzare il servizio, presentando al contempo tutta la documentazione utile, come provvedimenti giudiziari o attestazioni ufficiali.
La nuova stretta dell’Inps rende quindi più rigorosa la fase di accertamento delle condizioni penitenziarie, e allo stesso tempo rende più trasparente il raccordo tra le istituzioni che rilasciano le attestazioni e l’ente previdenziale, che eroga il sussidio. Per chi si occupa di assistenza sociale e per gli stessi potenziali beneficiari la raccomandazione pratica dell’Istituto di previdenza è di curare la documentazione e di segnalare correttamente, nella domanda Adi, l’ufficio che ha in carico la pratica penale esterna. Solo così la nuova procedura potrà svolgere la funzione prevista: smascherare le frodi e nel contempo garantire che chi è davvero in situazione di svantaggio continui a ricevere il sostegno previsto dalla legge.
© RIPRODUZIONE RISERVATA



Leave feedback about this