«Com’è andata? La Leopolda benissimo. Per le manifestazioni, dipende dai punti di vista. Io non posso che ringraziare per il lavoro paziente e difficile delle forze dell’ordine». Matteo Piantedosi arriva alla Leopolda dopo una giornata sull’ottovolante. I 300mila in piazza a Roma, i due milioni in tutta Italia secondo la Cgil (ma al ministro dell’Interno ne risultano un quarto, «4-500mila persone, che non sono poche»). I binari bloccati e i circa trenta agenti feriti. Il clima è caldissimo. E oggi si prospetta un’altra giornata difficile. Ma il capo del Viminale vede il bicchiere mezzo pieno: «Il bilancio provvisorio ci lascia ben sperare anche per la giornata di domani (oggi, ndr), con una manifestazione nazionale altrettanto impegnativa».
RIVOLTA
Ma appena sceso dal palco della kermesse renziana numero 13, convocata come sempre nell’ex stazione ferroviaria di Firenze (ospiti della prima giornata anche il sindaco di Milano Beppe Sala e il governatore toscano Eugenio Giani), l’ex prefetto di Roma non lesina stilettate. Una, in particolare, la rivolge alla Cgil di Landini, promotrice delle agitazioni insieme all’Usb. Meloni aveva bollato la protesta come voglia di un «weekend lungo», mentre per Salvini il sindacato puntava alla «guerra politica». Condivide, Piantedosi? «Lascio ad altri le definizioni», risponde il ministro alla domanda del Messaggero. «Ma credo che da qualche tempo la Cgil lo dica anche espressamente. Non una guerra politica, ma insomma… C’è stato un appello alla rivolta sociale». E poi non nasconde lo scetticismo, Piantedosi, per la convocazione di uno sciopero generale su temi internazionali. Anche in questo caso guarda al bicchiere mezzo pieno: «Come governo siamo soddisfatti che i temi che vengono portati in piazza non sono quelli economici o dell’occupazione, sui quali il governo sta marcando dei risultati come non si verificavano da decenni, come su sicurezza e immigrazione». Niente rivendicazioni «classiche», insomma: «Non sono più quelle su cui si realizzano le contrapposizioni ma è Gaza… Un tema nobilissimo, per carità».
Intanto l’allerta del Viminale sul fronte ordine pubblico resta al massimo. Gli chiedono se tema un’escalation nelle prossime ore. E lui, che da ex prefetto sa bene come anche una manifestazione pacifica possa prendere rapidamente tutt’altra piega, non nega i timori. «L’escalation va sempre temuta – osserva – perché come si è visto in altre occasioni, tutto viene rimesso alla volontà e allo spontaneismo di gruppi più o meno estesi». Che possono far esplodere la violenza. «Quindi facciamo sempre professione di preoccupazione, cerchiamo di prevedere come reagire al meglio in ogni circostanza».
Di certo c’è che il popolo della Leopolda (circa duemila le persone riunite nell’ex stazione, oltre ai ragazzi della scuola politica di Italia Viva “Meritare l’Europa”) gli rivolge un battimani dopo l’altro. Chi gli chiede un selfie, chi gli stringe la mano. Segno che la linea securitaria rivendicata dal governo al pubblico renziano piace eccome. Qualche mormorio solo quando la domanda vira sullo sgombero della sede romana di Casapound. Piantedosi promette che il momento dell’addio all’occupazione abusiva nel centro della Capitale «si sta avvicinando». E rivendica: «Casapound è inserito negli elenchi da sgomberare, redatti dalla prefettura di Roma quando Matteo Piantedosi era prefetto di Roma». Come dire: so il fatto mio senza prendere lezioni. «Quando ero prefetto – ricorda – usavo fare quasi sempre lo stesso giorno uno sgombero di destra e uno di sinistra, passatemi la semplificazione».
I SIPARIETTI
Con l’ex premier che lo intervista è un profluvio di siparietti. Quasi amici, Piantedosi e Renzi, anzi decisamente amici. Del resto i due si conoscono da tempo, da quando Renzi era premier e Piantedosi funzionario al Viminale. Così quando racconta di tenere un busto di Cicerone in ufficio in memoria degli studi da avvocato, il senatore di Rignano non resiste allo sfottò (con allusione a La Russa): «Rispetto ad altri busti appartenenti a uomini delle istituzioni, almeno qui siamo tranquilli…». È un crescendo, come sul caso Almasri: «In parlamento gli ho detto che lui è Nordio erano il gatto e la volpe, ma lui almeno faceva la figura buona» (e giù risate). Il ministro rivendica l’aumento di 1,5 miliardi per lo stipendio delle forze dell’ordine «che non prendono mai troppo per quello che fanno», ed ecco Renzi: «Occhio che te lo fregano lo stanziamento». E poi sicurezza, lotta ai trafficanti. Fino ai centri in Albania, unico argomento su cui le posizioni sembrano davvero lontane. «Non fun-zio-ne-ran-no!», fa il verso a Meloni Renzi. E Piantedosi: «A giugno entreranno in vigore i nuovi regolamenti europei, ci diamo appuntamento alla prossima Leopolda e ti dimostrerò che funzioneranno». Chiosa l’ex premier: «Vecchia scuola prefettizia, ci sa fare». Sipario.
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