L’aggravarsi della crisi dell’editoria richiede interventi urgenti. E allora «va fatto un passo indietro correggendo il Codice degli Appalti che ha cancellato l’obbligo di pubblicità legale per i lavori sui quotidiani». Paolo Barelli, capogruppo alla Camera per Forza Italia è primo firmatario, insieme ad altri 15 deputati, della risoluzione incardinata in Commissione Ambiente che inserisce tra i capitoli da correggere del Codice degli Appalti il riferimento all’articolo 50 che si occupa delle procedure di affidamento negoziate senza bando. Non solo. «Almeno 100 milioni vanno aggiunti in dote al Fondo per l’editoria».
Onorevole, il settore da anni in affanno sta affrontando la sfida cruciale della digitalizzazione. Ma deve difendersi con pochi mezzi anche dal saccheggio di contenuti dalle big tech, dal dilagare delle fake news e dai rischi dell’Intelligenza artificiale. Senza un sostegno deciso e immediato non si rischia il collasso?
«Libertà di stampa e informazione corretta e professionale, cioè un settore dell’editoria che resiste e si modernizza, sono fondamentali per la democrazia. Proprio per questa ragione come Forza Italia, con il segretario Antonio Tajani, ci siamo confrontati più volte con la Federazione italiana editori giornali (Fieg) e siamo impegnati a sostenerlo in tutti i modi e a tutti i livelli. Certamente bisogna fermare il saccheggio delle notizie e l’abuso di strumenti di Intelligenza artificiale che non solo creano un danno economico, ma sono anche molto rischiose. Perché possono produrre e rilanciare fake news».
Quali sono dunque le prossime mosse? Riuscirete a mettere nuovi fondi già in manovra e a correggere il codice degli appalti che limita la pubblicità legale sui quotidiani?
«Siamo impegnati a incrementare notevolmente il fondo per l’editoria, di almeno 100 milioni. E va fatto subito. Ma è utile fare un ragionamento più complessivo che non può prescindere dal fatto che le big tech, che hanno agito senza regole realizzando profitti altissimi, possono dare un contributo non solo di legalità, ma anche economico».
Intende dire che vanno recuperati fondi dall’evasione dei colossi Usa?
«È una regola di buonsenso: ciascuno deve contribuire per le sue capacità e per quanto guadagna. I diversi trattamenti fiscali, tra il mondo dell’editoria ed il mondo digitale, che “risiede” fiscalmente quasi tutto all’estero, creano delle ingiustizie. Di sicuro ai cosiddetti giganti del web si può chiedere di più, destinando queste risorse al mondo dell’informazione tradizionale e dei giornali, ai quali peraltro ancora oggi loro attingono».
E la nuova direttiva sul copyright è sufficiente o servono strumenti e regole più dure per limitare gli abusi delle big tech, oggi fermate da due storiche decisioni su Google ed Apple?
«Si è resa necessaria una legge che regolamenti tutto il mondo dell’informazione e dell’audiovisivo: la legge che porta il nome di Maurizio Gasparri ha fotografato il passaggio dall’analogico al digitale. Ora che il sistema è quasi totalmente digitale non sono affatto sufficienti le pure apprezzabili norme europee che tutelano il diritto d’autore».
Pensa quindi a sanzioni e multe pesanti?
«Valuteremo gli strumenti più adeguati. Di certo, la violazione del diritto d’autore è un reato non meno grave di altri e come tale va sanzionato».
E sugli annunci obbligatori dei lavori pubblici che rappresenta il 12% degli introiti pubblicitari per i quotidiani?
«Siamo certamente favorevoli a riconsiderare la scelta di sottrarre la pubblicità legale ai giornali: non ha aumentato la trasparenza e, allo stesso tempo, sta creando delle difficoltà alle testate in un momento già complesso».
Il tema della trasparenza agli appalti riguarda soprattutto quelli sottosoglia. Non è così facile per tutti accedere alle piattaforme dell’Anac attivate. Mentre i giornali sono alla portata di tutti.
«Forse si è sbagliato a correre troppo: la speranza di maggiore trasparenza ed efficienza si sta trasformando nel suo contrario».
Cosa pensate di fare in questo senso dopo la risoluzione presentata in Commissione? Tornare indietro oltre ad ampliare la concorrenza diminuisce il rischio di contestazioni o blocco per paura della firma da parte dei dirigenti.
«Stiamo cercando una soluzione equilibrata. Ovviamente non si torna al solo cartaceo, ma sarebbe bene creare un’integrazione e tornare a coinvolgere l’editoria tradizionale».
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