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anche nel Pd spunta l’ombra dei franchi tiratori


ROMA Vorrei ma non posso. Oppure, dovrei ma non voglio. Un’indicazione chiara, ancora, a Strasburgo non è arrivata. Ma il dado è tratto: il Pd di Elly Schlein dirà sì a Ursula von der Leyen. Seppur tra mugugni e mal di pancia, a cominciare da quelli della stessa segretaria. Che non ha mai fatto mistero di non aver particolarmente apprezzato le ultime mosse della presidente della Commissione Ue, dalla virata a destra sul Green Deal alle «passerelle» sui migranti (così le bollano dalle parti del Nazareno) con Giorgia Meloni tra Egitto, Tunisia e hotspot di Lampedusa.

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Un sì, insomma, ma obtorto collo. Quasi forzato, considerato che l’indicazione del nome spettava ai Popolari. E che i dem, insieme ai loro colleghi socialisti, avevano posto due condizioni, a cui più o meno formalmente von der Leyen ha risposto sì: tenere fuori dal perimetro della maggioranza i conservatori di Ecr, il gruppo di Giorgia Meloni, e riprendere là dove ci si era fermati con la transizione green, possibilmente tirando dentro il gruppo dei Verdi. Chiamarsi fuori adesso vorrebbe dire, per Schlein, rompere la linea concordata con la sua famiglia europea. E farlo da leader della delegazione più numerosa. Impossibile, a meno di un voltafaccia di von der Leyen.

Il punto però è che tra gli europarlamentari Pd, specie quelli più vicini alla segretaria, covano sfiducia e malumore. E poco importa se Bonaccini, a cui von der Leyen ha telefonato per avere rassicurazioni, dispensa certezze sul sì compatto dei dem alla tedesca. «Qualche franco tiratore ci sarà», mette nel conto chi in queste ore ha sondato gli umori del gruppo a Strasburgo. Quanti? Difficile prevederlo. Una stima al ribasso suggerisce almeno 5-6 eletti su 21. Osservati speciali gli “indipendenti”, da Marco Tarquinio a Lucia Annunziata. Ma pure gli schleiniani doc, Annalisa Corrado, Cecilia Strada, Alessandro Zan, Sandro Ruotolo.

IL GRANDE FREDDO
Non che la cosa desti particolare preoccupazione. Anzi: se la corsa bis di Ursula si schiantasse contro il muro dei no nel segreto dell’urna, compresi quelli di un pezzo dei Popolari e di Renew, nessuno in casa dem si straccerebbe le vesti. Anche perché l’attenzione è tutta rivolta alle altre cariche da spartire, a cominciare dalla presidenza della Commissione Ambiente che Schlein ha rivendicato per il Pd (barattandola con la guida degli Affari economici già affidata in passato a Roberto Gualtieri e Irene Tinagli). E poi anche la tenuta della corrente dei riformisti non è così scontata. «Dal confronto che abbiamo avuto con la presidente giovedì – racconta un membro del gruppo dem – siamo usciti abbastanza soddisfatti, ma su alcune questioni von der Leyen deve ancora dare rassicurazioni. La talloneremo». La fiducia è poca, insomma: il timore, nonostante i proclami, è quello di una nuova svolta a destra, caldeggiata da gran parte del Ppe.

È anche così che si spiega il grande freddo tra Elly e Ursula. Reso quasi polare dalla telefonata di von der Leyen con Bonaccini. «Se proprio non voleva chiamare Schlein, almeno avrebbe potuto parlare con Benifei», ossia il capodelegazione uscente, ragiona chi è più vicino alla segretaria. E poco importa che lo stesso Benifei abbia provato a minimizzare: «La telefonata non stupisce, i due si conoscono dall’alluvione in Romagna, è normale che si sentano». Il danno ormai è fatto. Turarsi il naso, dunque. «Il Pse ha chiesto a von der Leyen di coinvolgere pienamente i Verdi», spiega ancora Benifei. «Le premesse sono buone, ma serve chiarezza su alcuni punti: l’agenda sociale, il next generationEu, la transizione ecologica».

Chissà se basterà a convincere i recalcitranti. O se la più corposa delegazione dei socialisti, quella italiana, sarà anche quella che più contribuirà a impallinare una presidenza che il Pse (e il Nazareno) erano più che pronti a lasciarsi alle spalle.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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