LA GIORNATA
ROMA Un processo che non s’ha da fare. Si consuma in un’affollata aula di Montecitorio — presente anche la premier Giorgia Meloni- l’ultimo atto dell’intricato caso Almasri, il torturatore libico, sotto mandato di arresto internazionale, fermato in Italia per essere poi rimpatriato, con volo di Stato, a gennaio scorso. Il verdetto, anticipato dal voto negativo già espresso dalla giunta per le autorizzazioni, è quello di negare l’autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dei ministri Matteo Piantedosi, Carlo Nordio, e del sottosegretario Alfredo Mantovano, indagati per favoreggiamento nella liberazione del generale, oltre che per omissione di atti d’ufficio (accusa diretta al Guardasigilli) e concorso in peculato (per il titolare del Viminale e Mantovano).
IL TOTO-VOTI
Un finale scontato, ma non troppo. Perché alla prova del voto segreto, i tabelloni apposti sopra gli scranni strappano un sorriso a maggioranza e ministri “sotto procedimento”. Per il titolare del Viminale arrivano 256 voti favorevoli allo stop, di cui solo 234 appartenenti alla maggioranza. Per i restanti 22 bisogna spostare lo sguardo tra le file delle opposizioni. Sei i voti da Italia viva, che — va detto — aveva preannunciato il voto a favore di Piantedosi, fresco di partecipazione alla Leopolda. Nel computo, però, entrano anche 8 voti di Azione, 3 delle minoranze linguistiche e, con tutta probabilità, altri 4 del gruppo Misto. Per un totale di 255 , che fa ipotizzare la presenza di almeno un franco tiratore anche tra le forze del campo largo. Meno “trasversali” i consensi per Nordio e Mantovano, entrambi con 251 voti, che possono sempre dire di aver superato la soglia della maggioranza di centrodestra, nonostante qualche “defezione” tra Iv e Azione. E così, dopo nove mesi in cui non sono mancate le bordate dalla minoranza, Galeazzo Bignami arriva in Transatlantico sventolando i tabulati delle votazioni: «Io se fossi qualche esponente dell’opposizione meno dialogante qualche dubbio me lo farei venire, una volta — affonda il capogruppo di Fdi — nella prima repubblica erano chiamati franchi tiratori».
IN AULA
Fuori dalle convergenze trasversali del voto, resta la cronaca delle contrapposizioni plastiche durante la discussione. Da una parte Pietro Pittalis, relatore di maggioranza, convinto che la decisione del rimpatrio sia stata frutto di una «scelta di responsabilità e di prudenza istituzionale, dettata dalla necessità di proteggere vite umane e garantire la sicurezza nazionale». Dall’altra parte chi, come Federico Gianassi del Pd, accusa il governo di essere succube di una banda di tagliagole». La prova di «compattezza» non arriva solo dai parlamentari di maggioranza: molti i ministri tra i banchi del governo — c’è il vicepremier Antonio Tajani, mentre manca Matteo Salvini — e poi la presidente del Consiglio, arrivata al momento delle dichiarazioni di voto. Seduta tra Luca Ciriani e Piantedosi, Meloni parla fitto con quest’ultimo. Poi, al momento del voto su Nordio, si avvicina per dare una pacca al Guardasigilli che le riserva un baciamano. Ripeterà il gesto di vicinanza anche con Piantedosi e Mantovano. Poi via dal’Aula, mentre le truppe di meloniani si alzano in piedi per tributarle un applauso.
IL NODO BARTOLOZZI
A impensierire il governo, ora, restano le sorti della capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi che, in quanto “laica”, è stata indagata dalla procura di Roma — e non dal tribunale dei ministri — per false informazioni ai pm, sempre in relazione alla vicenda Almasri. Il passaggio formale per sollevare il conflitto di attribuzione alla Consulta, e provare a estendere anche a lei l’immunità parlamentare, sarebbe il rinvio a giudizio. Ma la maggioranza non vuole farsi cogliere impreparata. Per questo, già in questi giorni, i capigruppo del centrodestra in giunta per le autorizzazioni starebbero lavorando alla stesura della lettera da inviare alla presidenza della Camera. Il primo passaggio per attivare la procedura. Che, per essere approvata, richiederà, alla fine, un nuovo voto di Montecitorio. Intanto, Francesco Romeo, legale di una vittima e testimone delle torture del generale libico, annuncia il prossimo passo: il ricorso alla Consulta.
Valentina Pigliautile
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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