Ita Airways, la società nata dalle ceneri di Alitalia, dopo una lunga e faticosa trattativa con la Commissione europea, passa ai tedeschi di Lufthansa e per la ex compagnia di bandiera si chiude definitivamente un’epoca, costata parecchi miliardi di euro ai contribuenti italiani. Il conto complessivo negli ultimi cinquant’anni, secondo alcune stime, è di circa 11 miliardi. Ecco perché lo scorso luglio, annunciando la firma dell’intesa con la compagnia tedesca durante una conferenza stampa al Tesoro, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, volle insistere proprio su questo punto. L’arrivo di Lufthansa, spiegò, consentirà finalmente di chiudere la stagione dei salvataggi pubblici. «Ita nasce per mettere fine agli aiuti di Stato», aveva sottolineato Giorgetti, ora non ce ne sarà più bisogno. «Lo stato non metterà più miliardi per coprire le perdite», aveva garantito. Si vedrà se l’alleanza con i tedeschi riporterà l’erede di Alitalia ai fasti del passato, ma certamente ora inizia un’altra storia.
Fondata nel 1946 come Aerolinee Italiane Internazionali, la compagnia che fa volare il Papa ha avuto i suoi momenti di gloria nel dopoguerra e nel periodo del boom. La crescita è proseguita anche negli anni ’70 e ’80, con l’aumento della flotta e l’apertura di nuove rotte verso l’America e l’Oriente.
LE ALLEANZE
Poi a metà degli anni ’90 l’inizio delle difficoltà. Una crisi da cui, nonostante tutti i tentativi di rilancio, Alitalia non si è più ripresa. Fra alleanze fallite, concorrenza sempre più agguerrita delle compagnie low cost e scelte strategiche discutibili come quella di spostare l’hub della compagnia da Roma Fiumicino a Milano Malpensa. Fino ad arrivare allo stop definitivo di due anni fa e alla nascita di Ita.
Un trentennio di piani industriali continuamente aggiornati, amministratori delegati che si susseguono alla guida, ricapitalizzazioni e iniezioni di soldi pubblici. Senza dimenticare il tentativo dei cosiddetti “capitani coraggiosi”, la cordata guidata da Roberto Colaninno che prese il controllo del vettore dopo che Silvio Berlusconi bloccò in nome dell’italianità l’intesa negoziata dal governo di Romano Prodi con Air France. E il successivo fallimento dell’ennesimo tentativo di rilancio degli arabi di Etihad.
Tornando invece al conto per i contribuenti, la stima parte da uno studio di alcuni anni fa di Mediobanca che ha diviso la storia della ex compagnia di bandiera in due fasi: la prima fra il 1974 e il 2007 e la seconda fra il 2008 e il 2014. Tra il 1974 e il 2007 — quando Alitalia è stata commissariata — il saldo finale a carico dei cittadini è in rosso per 3,3 miliardi. Nei sette anni successivi, fino all’arrivo di Etihad, sempre secondo i conti di Mediobanca, le uscite per i conti pubblici sono di altri 4,1 miliardi. Si arriva così a un totale di 7,4 miliardi tra il 1974 e il 2014 tra aumenti di capitale, contributi e garanzie.
Chiuso il periodo della compagnia araba, nel 2017 il governo di Paolo Gentiloni concede altri prestiti per 900 milioni per tenere Alitalia in volo, facendo lievitare l’esborso da parte dello Stato a 8,3 miliardi. Poi fra altri finanziamenti, gli 1,35 miliardi stanziati per la nascita di Ita, indennizzi per il Covid, soldi per la cassa integrazione dei dipendenti lasciati a casa e il fondo per rimborsare i biglietti dei viaggiatori di Alitalia in vista del passaggio alla nuova compagnia si arriva a un conto finale che sfiora gli 11 miliardi. Una stagione di salvataggi pubblici su cui ora dovrebbe essere stata messa la parola fine.
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