Rio de Janeiro è una città in ferie. A fronte di un imponente dispositivo di sicurezza per tutelare i 55 leader, i due giorni del G20 sono stati concessi a molti dei dipendenti carioca che, puntualmente, si sono riversati a Copacabana e Ipanema per “celebrare” le ferie inattese. Celebrazioni che se non hanno coinvolto centinaia di manifestanti pro-Amazzonia schierati sulle spiagge, hanno invece travolto turisti e delegazioni internazionali, spesso accolti in aeroporto dai ballerini di alcune delle più importanti scuole di samba della città. Anche alcuni dei grandi della Terra si sono concessi qualche ora off, come Giorgia Meloni ieri in visita privata con la figlia Ginevra all’iconico Cristo Redentore, Joe Biden sbarcato prima in Amazzonia e il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre finito a servire tortine di baccalà in uno dei locali più in voga del quartiere di Santa Teresa per celebrare lo storico rapporto di “pesca” che lega la Norvegia al Brasile.
Eppure i lavori del G20 appena cominciato sembrano tutt’altro che in discesa. Se è vero che ci sono pochi dubbi sulla spinta imposta dal Brasile — tornato a guidare i Paesi “non allineati” con il ritorno di Lula — su temi come la lotta alla malnutrizione o a quella contro la povertà, lo è pure che la vittoria di Donald Trump della sua dottrina “America first” stanno ostacolando i diplomatici al lavoro. Nello specifico i negoziatori argentini di Javier Milei, considerato alleato principale del Tycoon, si oppongono con veemenza a una clausola che chiede una tassa globale sui super-ricchi (precedentemente accettata) e ad un’altra che promuove l’uguaglianza di genere. Nulla di realmente rilevante secondo gli emissari italiani al tavolo delle trattative, ma quanto basta per segnare un cambio di passo rispetto al passato.
L’Italia, d’altro canto, da presidente ormai uscente del G7 non può che auspicarsi una certa «continuità» dalle azioni brasiliane. Specie per quanto riguarda il conflitto in Ucraina. A mille giorni dall’invasione russa e con Trump in arrivo alla Casa Bianca, le cose paiono evolvere rapidamente. Anzi, il riposizionamento di massa dei Paesi occidentali a favore di una tregua che cristallizzi lo status quo per certi versi parrebbe già cominciato. Al di là delle promesse del Tycoon il turco Recep Tayyip Erdogan ha infatti portato al tavolo del G20 la proposta di congelare il conflitto ad oggi, istituire una zona smilitarizzata che faccia da cuscinetto e porre una moratoria sull’accesso alla Nato di Kiev da compensare con adeguate forniture militari.
Per ora è difficile che si arrivi ad un’intesa. Così com’è difficile trovare una formula all’interno delle dichiarazioni finali che non sancisca una totale sconfessione di quelle dello scorso anno. A New Delhi infatti, fu messo nero su bianco l’impegno russo a non attaccare infrastrutture civili. Esattamente ciò che è accaduto nella notte che ha preceduto il vertice brasiliano e dopo il via libera annunciato da Biden all’uso in territorio russo delle armi a lungo raggio americane concesse a Volodymyr Zelenksy. «Dovremo prenderne atto» spiegano fonti italiane, lasciando intendere come traballi il fragile consenso costruito dai negoziatori attorno ad un linguaggio semplificato sui conflitti che tenesse conto della necessità di negoziare la pace più che di critiche ai partecipanti. Una sfida di cui si stanno occupando gli sherpa proprio in queste ore, mentre Lula termina di accogliere i leader nel Museo di Arte Moderna di Rio per le prime sessioni di lavoro del vertice.
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