«Al primo alt di Israele ci fermeremo, non abbiamo intenzione di alimentare reazioni belligeranti». A parlare, dalla Flotilla, il deputato del Pd Arturo Scotto. Le imbarcazioni, ieri, si trovavano a circa 280 miglia (circa 500 chilometri) dalla Striscia di Gaza.
Cosa vi aspettate una volta arrivati all’altezza del blocco navale di Israele?
«Ci aspettiamo che i governi, di fronte a un atto che sarebbe illegale perché ci troveremmo in acque internazionali a dover fare i conti con una forzatura su barche che portano solo aiuti umanitari, provino a fare una pressione adeguata affinché questo corridoio si apra. Ma ho l’impressione che non ci sia un’iniziativa di questo tipo per introdurre una pressione vera nei confronti di Netanyahu».
All’alt di Israele vi fermerete, ma quando verrà dato l’alert da parte della Marina militare italiana (previsto a circa cento miglia delle coste di Gaza), no.
«No, proseguiremo fino all’alt di Israele. Continuo a ringraziare il ministro Crosetto per aver inviato una fregata, penso che sia stata una scelta auspicabile e giusta. Non è una scorta della Flotilla ma assistenza e soccorso in caso di incidenti in mare. Naturalmente la presenza di una fregata italiana in acque internazionali è un segnale forte, soprattutto dopo l’aggressione da parte di Israele di 40 barchette in mezzo al mare la cui unica missione era puntare agli aiuti umanitari. È chiaro che di fronte a questa escalation la presenza di una fregata militare come quella italiana ma anche per esempio quella del governo spagnolo determina un elemento di ulteriore deterrenza rispetto alla possibilità che ci siano attacchi in mezzo al mare».
Quando dovreste arrivare a Gaza? E cosa sperate accada?
«Giovedì, ma non escludo che se c’è un intercetto preventivo possa accadere o domani sera (oggi, ndr) o il giorno successivo quando saremo davanti al blocco navale. Speriamo però che sia emersa in maniera sempre più forte una mobilitazione popolare come quella che c’è oggi, che è diffusa, trasversale, intergenerazionale e che spinga i governi a fare una pressione autentica nei confronti di Israele perché apra quel corridoio».
Perché diversi attivisti hanno lasciato la missione? Ci sono state delle fratture interne?
«Come tutti i movimenti fanno fatica a ordinare le discussioni e ovviamente ad applicare come è inevitabile, soprattutto in una missione dove ci sono 44 delegazioni internazionali, un principio di decisione. Ci sono delle regole di viaggio, alcune le quali possono cambiare in corso d’opera. È evidente anche che la lunghezza di questa missione ha determinato stanchezza, nervosismo, preoccupazioni. Molti sono qui da fine agosto, quindi chi sceglie di sbarcare lo fa del tutto legittimamente. Per quello che riguarda me e l’eurodeputata Annalisa Corrado noi continuiamo la missione perché siamo in qualche modo la scorta democratica istituzionale degli attivisti italiani, svolgiamo una funzione di garanzia e tutela di un’impresa molto difficile e non ce la sentivamo di fermarci».
Vi sentite in pericolo?
«Sappiamo che c’è il rischio, dire che non siamo preoccupati sarebbe stupido e sbagliato. Sappiamo però che abbiamo delle regole di ingaggio e delle procedure di sicurezza che non ci portano a fare sciocchezze o forzature perché non è quello il senso della nostra missione. Il senso della nostra missione è portare aiuti umanitari. Mettere a rischio la propria vita sarebbe una cosa non utile ai palestinesi che dovrebbero essere il centro della nostra iniziativa e della nostra riflessione».
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