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Zelensky cerca la sponda Ue. Macron: «L’Europa si svegli»


Sul grande palco allestito nella tribuna d’onore della Puskás Aréna, lo stadio della nazionale ungherese dedicato al leggendario attaccante magiaro “Pancho” Puskás, il rito della foto di gruppo si consuma in un battibaleno. Si gela, a Budapest. E non solo perché a sera le temperature rasentano lo zero. Ma perché all’indomani del trionfo di Donald Trump, fredda – anzi freddissima – è la doccia di realismo che investe i leader europei, riuniti in Ungheria per il primo vertice allargato da quando, 48 ore fa, si è avuta la certezza del ritorno del tycoon.

C’è chi brinda al «fantastico risultato» di The Donald, come il padrone di casa Viktor Orban (con la vodka anziché con lo champagne perché «mi trovavo in Kirghizistan»). Chi, come Volodymyr Zelensky, teme il disimpegno dell’alleato americano sulla guerra e cerca, ora più che mai, la sponda europea. E chi come Ursula von der Leyen, fa professione di realismo. E da Budapest fa sapere di aver avuto una «eccellente telefonata» con il presidente eletto, col quale «siamo ansiosi di «rafforzare i legami tra Usa e Ue» e di «lavorare per affrontare le sfide geopolitiche». Insieme – promette Ursula – «possiamo promuovere la prosperità e la stabilità su entrambe le sponde dell’Atlantico». Ma al netto delle dichiarazioni di prammatica, l’aria che si respira al vertice della Comunità politica europea (format allargato a leader extra Ue tra cui Zelensky ed Edi Rama) la riassume bene un’altra frase di Orban: la sensazione, o meglio la quasi certezza, che «con le elezioni americane si è chiuso un capitolo», e «il mondo cambierà velocemente».

LA SVEGLIA
Di sicuro sarà così per il Vecchio continente, chiamato a imparare in fretta a camminare sulle proprie gambe. Specie per quanto riguarda il capitolo della Difesa, ora che lo scudo americano non è più assicurato. O, come suggerisce Emmanuel Macron, a «svegliarsi», a «scrivere la propria storia», senza lasciare che siano altri, gli Usa o la Cina, a decidere del destino europeo. Un appello che a parole riscuote grande condivisione, quello del presidente francese. «Dobbiamo essere consapevoli di quello che siamo», esorta Macron: «Una potenza enorme, un mercato unito da valori comuni. Se ci svegliamo – avverte – difendiamo i nostri interessi, gli interessi europei». Svegliarsi e smetterla di fare gli «erbivori» in un mondo che è «fatto di carnivori», è l’imperativo. «Non sarebbe male se scegliessimo di essere onnivori – continua nella metafora il capo dell’Eliseo – Non voglio essere aggressivo, ma solo che sappiamo difenderci».

Un nuovo protagonismo europeo che per Macron deve valere anche per quanto riguarda la guerra tra Russia e Ucraina. Non nasconde il pessimismo, Zelensky. «Una fine rapida del conflitto per Kiev sarebbe una sconfitta», osserva, perché lascerebbe i territori occupati in mano russa: «Qual è la pace giusta dobbiamo deciderlo noi». Chiede di mettere a disposizione subito i fondi congelati degli asset russi, prima che sia troppo tardi. E condanna chi, come Orban, continua ad «abbracciare Putin». Altro che «concessioni allo zar»: farlo sarebbe «un suicidio per tutta l’Europa». Con l’ungherese va in scena un botta e risposta in differita. Orban ripete che con Trump «ci sono sempre più voci favorevoli alla pace». E definisce una «questione aperta» lo stanziamento di 50 miliardi per Kiev dagli asset russi deciso al G7. Tornerà in discussione, sembra suggerire.

Non commenta, per ora (ma potrebbe farlo nel punto stampa di questa mattina), Giorgia Meloni. Dopo la telefonata con Trump e quella di ieri con Elon Musk, la premier alla Puskás Aréna partecipa a due riunioni ristrette su immigrazione e ingresso della Moldavia in Ue, prima di un incontro con il premier norvegese Jonas Gahr Store. Nessun bilaterale con Zelensky. Sul fronte migranti intanto Meloni incassa l’assist di Orban all’operazione Albania. Così come il giudizio tranchant dell’ungherese sulla magistratura, o meglio sull’«attivismo giudiziario» dei giudici al quale «bisogna ribellarsi», perché – e cita l’esempio italiano – «i governi prendono decisioni, poi una Corte a livello europeo decide negativamente».

GRATTACAPI
La premier però ha anche altro a cui pensare, a cominciare dai grattacapi su Raffaele Fitto. Nome, quello del vicepresidente esecutivo italiano, su cui il capofila dei socialisti francesi Raphael Gluscksmann annuncia il voto contrario del Pse. Già, perché la squadra della prossima Ue deve ancora passare dalle forche caudine del Parlamento. Ma – è il ragionamento che corre nel centrodestra – se l’Europa deve tornare a «fare l’Europa», come esorta Macron, avrà bisogno di una squadra solida, non di divisioni. Ed è proprio sul come diventare “carnivori” che si discuterà oggi, al consiglio europeo informale a casa del leader magiaro, presidente di turno dell’Ue. Ci sarà anche Mario Draghi, visto che l’ex capo della Bce un’idea di come «svegliare» l’Europa ce l’ha, e l’ha messa nero su bianco nel suo Report sulla competitività. Nel quale suggeriva a Bruxelles investimenti sulla crescita per 800 miliardi di euro. Ieri l’ex premier italiano ha avuto un primo colloquio con Orban, al centro del quale è finito proprio il suo Rapporto. Un capitolo si è chiuso, concordano i leader. Su come scrivere il prossimo invece la discussione è appena cominciata.

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